giovedì 11 settembre 2014

IL BERSAGLIO di SERGIO SOZI - prima parte


Uno 

 

L’uomo dimostrerebbe meno dei suoi quarantadue anni, non fosse per quell’espressione un tantino marcata del viso: come se l’avessero disegnato con il carboncino e ogni piega della pelle si mostrasse raddoppiata. Capigliatura corvina e folta, statura atletica, occhi pressoché turchini acuminati e avidi, Toni Mastrangelo sembra uno in grado di gestire al primo impatto qualsiasi ambiente o situazione in cui si trovi, dalla partita a calcetto improvvisata con dei nuovi conoscenti alla serata di beneficenza sotto le telecamere. Quel che si suol dire una gran capacità di adattamento – dopotutto caratteristica comune a tutti coloro che svolgano la sua professione.
            «Grazie, faccio da solo», sussurra bloccando gentilmente a Santonastasio l’atto di zuccherargli il caffè. E si sporge per immergere il cucchiaino nell’ampolletta d’argento.
            Cosí Euterpe, seduto sulla poltrona rosso pompeiano all’altro lato del tavolinetto, rinuncia al servizio destinando alla propria tazzina il dolcificante.
            «Non mi sembra ingrassato dai tempi di Rex», nota l’ex carabiniere constatando il mezzo cucchiaino di Mastrangelo, e continua: «però va detto che non guardo la tivvú dal Cinquantaquattro... mi riferivo solo a una sua foto che mi capitò sott’occhio su una di quelle riviste per...»
            «Ragazzine e casalinghe, sí sí... per non farmi odiare anche da loro mi tocca apparirci spesso con tanto di sorriso solare e rassicurante... in giacca e cravatta... mentre gioco a tennis... sa... è il lavoro».
            «Già», ammette Euterpe, «una lunga carriera cinematografica. E di teatro ne ha fatto mai?»
            «Quindici, sedici anni fa... due... no... tre... tre tournée europee. Sempre con la stessa pièce: l’Apocalisse di Menna».
            «Conoscevo quello di Giovanni».
            «Eh...? Ah... no, no... Menna, il regista e sceneggiatore che poi mi ha diretto anche in molte puntate di Don Matteo».
            «E... anche lí, lei...»
            «Facevo la parte del cattivo, certo. È una vita che studio ogni sfumatura psicologica del male. Ma cosa fa, capitàno, prende nota?»
            «Tutto serve, quando si indaga seriamente. Scusi Mastrangelo... potrebbe ridirmi i titoli di prima...»
            «Che c’entra questo con il nostro rapporto: non le ho già assicurato che le minacce provengono da fuori del mio ambiente lavorativo?»
            «Deformazione professionale e puntigliosità. Mi perdoni».
«Vabbè. Dunque ripetiamo: tre episodi di R.I.S., cinque di Distretto di Polizia, due di Derrick, quattro di Don Matteo e addirittura un bel ruolo in una puntata di Colombo, nell’Ottantasei... e non mi dica che conosceva solo Cristoforo».
            «No, solo le tre caravelle. Non era un po’ piccolino, lei, nell’Ottantasei?»
            «Dodici anni appena compiuti», constata posando la tazzina, «ma già ammazzavo in grande stile: ero il figlio psicopatico di un conoscente d’origine italiana di Peter Falk, che appare solo negli ultimi minuti... nessuno lo aveva sospettato, ma era stato lui a sgozzare la amante del padre e a bruciarne il cadavere».
            «Un lavoretto fino fino eh... ma lui chi?»
            «Lui Isidor, il bambino pazzo, cioè io, no?»
            «Seguo male le trame delle pellicole... sa... non vado al cinema dal Quarantanove».
«Dopo, quando divenni maggiorenne, in America, se serviva uno squilibrato, un torturatore, un bullo o anche un truffatore italiano, i responsabili del casting chiamavano me. Be’... perché non si fa dare da Carlo l’elenco completo e dettagliato dei miei lavori, con le datazioni esatte?»
            «Carlo... intende quel distinto signore che l’altroieri mi ha contattato per suo conto?»
            «Quel signore» annuisce l’attore «è il mio agente e la mia fortuna in carne e ossa: mi scoprí nell’Ottantasei e ancora oggi cura i miei rapporti con registi, produttori e mass media. È anche addetto allo smistamento della posta, farneticazioni dei fan comprese. Gliele avrà consegnate le tre lettere minatorie, no? E deve aver anche aggiunto che questa faccenda va tenuta del tutto riservata, altrimenti non la pago».
            «Ovvio... e sí, certo, ce le ho le lettere».
            «Le ha studiate?»
            «Come, lei, che ha impersonato delinquenti di ogni tipo, ancora non sa che dalle lettere cosí, in genere, non si ricava alcun indizio? Non le ha mai spedite, lei?»
            «Solo una volta a Detroit, ma finii sulla sedia elettrica proprio per via dell’esame calligrafico».
            «Condoglianze per il personaggio e buffetto di correzione allo sceneggiatore da parte mia. Però perizia si chiama, non esame calligrafico. E tornando a noi: questa scrittura non le ricorda nessuno?»
            «Di a me noto, assolutamente no».
            «Allora vediamo di tirarne fuori qualcosina. L’autore delle tre lettere usa regolarmente il corsivo ed è uno solo, non ci piove. La terza lettera le è giunta l’altroieri e le comunica con... con salda e direi temibile fermezza che lei non arriverà vivo al suo quarantatreesimo compleanno... ovvero fra sedici giorni esatti. Non saprebbe dirmi, dopo averci pensato bene, chi conosce questa data, signor Mastrangelo?»
            «Su Wikipedia l’ho fatta scrivere sbagliata apposta per evitare scocciature. Ma anche cosí la sapranno almeno... bah... duecento persone, immagino».
            «E non sarà lo scherzo grottesco di un qualche suo amico o conoscente?»
            «Lo escludo».
            «Perché?»
            «Gli amici, Santonastasio, non chiamano al cellulare da numero irrintracciabile dicendoti che faresti meglio ad andare, subito, da un notaio a registrare il testamento...» si gratta la nuca «...come è successo mezz’ora fa mentre venivo in macchina qui a Trieste».
            «Due domande banali: chi possiede il suo numero di cellulare e cosa vuole da lei l’ass... ehm... il persecutore per rinunciare al suo disegno. Avrà un qualche fine, no? Mica lo farà per svagarsi».
            «Purtroppo il numero di questo apparecchio è sull’agendina di almeno cento persone. E niente richieste di denaro o di altro: ’sto matto vuole solo accopparmi e punto. Mi odia, gli sto sul...»
            «Capíto, capíto. Allora, senza perdere un minuto di piú, denunci la cosa ai colleghi di Venezia – lei vive lí vero? – e si faccia assegnare una scorta fissa, meglio se in borghese e discretissima, e il controllo continuativo ed automatico di tutti i recapiti telefonici. Intanto io proseguo le indagini e se serve confermo ai colleghi la sua vicenda. Ma chi ce l’ha con lei, Mastrangelo? Possibile che non ne abbia almeno una minuscola idea...»
            «Solo... una...» e interrompendosi si alza di scatto finalmente agitato «... no, no, lasciamo perdere... non ci posso credere... inoltre la voce, anche se alterata, era maschile».
            «Se non lo dice a me almeno lo dica ai carabinieri. La cosa è seria».
            L’attore si risiede: «D’accordo, senta...»

 

Due

 
«...cosí» conclude Mastrangelo «mi ha giurato di farmela pagare. Scusi se l’ho tirata un po’ per le lunghe».
            Al suo terzo bicchierino di grappa nepalese, Santonastasio inchioda l’occhio sul pendolo della sala, impassibile testimone di quella mezz’ora passata ad ascoltare la rievocazione – a partire dal principio, fidanzamento compreso – di un matrimonio decisamente finito male. Molto male. Sta a dire con scenate continue, schiaffi e urla, per raggiungere l’apice di un abbandono definitivo del tetto coniugale da parte di lei, inferocita per delle corna che indubbiamente il marito le aveva piazzato ben salde in testa svariate volte. Il tutto conclusosi da poco meno di un anno con reciproche querele per lesioni personali e maltrattamenti ‘‘realissimi per entrambi’’, come precisato dall’attore.
            «Ora, se sua moglie, come ipotizza lei, stesse brigando con il suo amante, quel Bruno, per ucciderla ed ereditare la casa, le proprietà e il conto bancario, credo che non lo farebbe annunciandoglielo prima. Pertanto la depennerei dalla lista dei nemici».
            «Ecco, immaginavo questo commento. Cosí posso permettermi di dirle che secondo me si tratta invece di una strategia... estremamente raffinata... per eludere i sospetti ed eliminarmi alla fine di una bella, lunga agonia».
            «Al momento, qui, abbiamo in mano solo tre lettere e una telefonata... che oltretutto la spinge a far testamento... cosa di certo sfavorevole a sua moglie».
            «Lei Santonastasio, cosí ragionando, oltre a dimostrare, come è ovvio, di non conoscere affatto né quella donna né la mentalità femminile in fatto di intrighi e vendette, sta perdipiú seguendo perfettamente il piano di Emanuela: lei, sapendo di essere la prima indiziata, ha messo tutto in conto fin dall’inizio, capisce? Sa di essere nella lista nera e che, perciò, sarà presto interrogata e magari seguíta dai carabinieri. E sa che per legge non potrò toglierle l’intera eredità neanche assumendo l’intero Foro di Venezia. Cosí lascerà passare del tempo, poi entrerà in azione, oppure... oppure, meglio ancora, ha assoldato un sicario che sta gestendo da solo l’intero progetto. A cose fatte, utilizzando transazioni bancarie internazionali e istituti di credito presenti nei paradisi fiscali, lei gli devolverà una buona percentuale dell’incasso. Io un lavoro cosí non lo farei per meno di centomila euro, tranne che in un film del genere Franco e Ciccio, ovviamente, ma non ne faccio. Ecco... un sistema semplice ma ingegnoso e soprattutto sicuro: esternalizzazione del processo produttivo, si direbbe oggi». Ridacchia soddisfatto della metafora finanziaria e si versa altro caffè, ormai freddo.
            «Mh. Mi faccia capire: il sicario, lei sostiene, starebbe eseguendo in tutta autonomia un piano concordato con sua moglie e i due non si contatteranno mai, pertanto evitando di fornirci prova alcuna».
            «Esatto. Fa tutto il killer: prima, per far godere quella sadica, mi terrorizza, poi, ad acque calme, mi accoppa in qualche modo pulitissimo... magari con un incidente automobilistico opportunamente indotto, o incaricando del lavoro qualche rapinatore extracomunitario. Cosí la cara Emanuela, finalmente felice del suo maritino, eredita a dir poco un paio di milioni di euro in terre, titoli e beni immobili. Non mi pare roba da fantacriminologia, Santonastasio».
            «Verificherò... e verificheranno i colleghi veneziani».
            «Non insista, la prego. La faccenda deve restare fra noi. Se mando i carabinieri a interrogare Emanuela ottengo solo due cose: le dò la soddisfazione che cerca e non risolvo una mazza uguale, perché tanto il piano è in corso e niente potrà fermarlo, nemmeno un ripensamento di Emanuela stessa, che deve aver tagliato definitivamente ogni rapporto con quel professionista del crimine, se non è fessa. Faceva l’attrice anche lei, lo sapeva? Ed ha i nervi d’acciaio... una mina vagante fredda, calcolatrice, spietata, avida... e di buona memoria. Si ricorderà di sicuro che mi mossi anch’io all’incirca cosí quando volevo cancellare mia moglie, una ricca ed ingenua ereditiera tedesca, in un lungometraggio di Argento nel Novantasette. Però venni incastrato perché il killer alle mie dipendenze mi presentò il conto e io andai di persona a consegnargli il dovuto in biglietti di piccolo taglio usati, come al solito. Bella scena: entro in una fabbrica di saponette ottocentesca, tutta fatta di mattoncini aranciobruni lisi come vecchie spugne: una roba mastodontica dismessa da mezzo secolo che stava in piedi per miracolo. Dunque io ci entro con il borsone di pelle in mano – dentro ci sono centomila dollari – e si accendono i riflettori della polizia. Un momento topico. Niente da invidiare al finale del Padrino sulla scalinata del teatro siciliano. Fotografia eccezionale. Montaggio di classe. Musica dei Goblin arrangiata da Simonetti Iunior con quintetto da camera e clavicembalo ben temperato, suonato dal maestro stesso. Be’: Emanuela quel film lo ha visto insieme a me all’anteprima stampa... se si tradisce cosí fa una brutta figura prima di tutto ai miei occhi. Ed io la faccio ai suoi se la denuncio».
            «Allora lasciamo perdere i carabinieri, va bene. Però io non potrò farle da scorta... ce lo vede uno di settantasette anni nei panni dell’angelo custode? Cosí resterà in balia degli eventi. Ne è sicuro?»
            «A render pubblico il tutto, professionalmente ci rimetterei... è come se dichiarassi ufficialmente la mia debolezza... pauroso come una fanciulletta, Mastrangelo: guardalo che arriva con i carabinieri... e ora che, per la crisi, i contratti scarseggiano e spesso manco vengono onorati... ho pure due cause in corso con un’unica produzione. Tivvú e giornali in questi guai ci sguazzerebbero e sarebbe controproducente in tribunale».
            «Dunque esiste anche qualcun altro a cui è molto antipatico Toni Mastrangelo».
            «Un produttore che mi ammazzerebbe per non pagarmi dieci, quindicimila euro? Allora dovrei esser defunto da un pezzo. Questa nel nostro ambiente è ordinaria amministrazione». Sorride.
«Possiede almeno delle guardie del corpo, dei sistemi di sicurezza in casa e un’arma personale?»
            «Certo, da quando, dieci anni fa, mi spararono in strada incrinandomi il pèrone destro. Si trattava di un paio di mafiosetti da quattro soldi, dei disperati imbecilli che volevano ricattarmi non si sa come né con quali informazioni... ah, ecco, ricordo: si erano inventati delle foto porno truccate e pretendevano di passarle ai giornali se non avessi pagato una cifra astronomica. Che deficienti. Li ho rintracciati subito e certi miei buoni amici li hanno gonfiati a domicilio con gli interessi. Spariti dopo un paio di settimane d’ospedale. Be’, oggi ho due calibro trentotto automatiche regolarmente denunciate e sempre cariche, una che porto con me e l’altra in camera da letto, tremila euro al mese di spese per due gorilla fissi, le videocamere anche nel cesso e tutte le auto blindate. Ma lei Santonastasio si sbrighi a darmi buone notizie, ché in queste condizioni presto non riuscirò piú a lavorare... rischio che i registi si stufino delle mie bizze... ingiustificate. Ci vuol poco ad uscire dal giro... ed io ho appena rifiutato una buona comparsata su Rai Uno nello spettacolo della domenica pomeriggio. Ho i nervi a fior di pelle, non me la sentivo di affrontare la diretta... e in fondo, ancora per qualche mese, ho da girare sul set. Però c’è sempre chi prenderebbe il mio posto volentieri e subito: il cinema mica è un impiego statale... si può saltare da un momento all’altro... cadono teste ogni giorno, qui. Ah dimenticavo: la riservatezza vale anche per i suoi collaboratori, capitàno».
            «Quali, gli impiegati dell’INPS che mi spediscono la pensione ogni mese?»
            «Io le pago il compenso che mi ha chiesto. Veda lei. Solo sia rapido e... se incontra mia moglie sfoderi pure tutto il savoir faire e l’intelligenza che mi hanno spinto ad assoldarla, Santonastasio. Ergo: noi di lei non abbiamo mai parlato».

2 commenti:

  1. Gentile Signor Sozi,
    A me piace. Interessante, coinvolgente, intenso. Non so ancora chi sia il "promesso assassino", ma spero di scoprirlo gia' giovedi' prossimo. Attendo dunque con ansia i prossimi episodi.
    La ringrazio e saluto cordialmente.
    Sandro

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  2. Egr. Sig. Sandro,
    grazie per l'interessamento. Poi: certo, fin qui gli elementi presenti per l'individuazione del colpevole sono molti ma tutti solo ipotetici. Lasciamo dunque passare ancora acqua sotto ai ponti della storia...
    Cordiali saluti
    Sergio

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