giovedì 25 settembre 2014

IL BERSAGLIO di SERGIO SOZI - ultima parte

Ecco infine il quinto capitolo e l'epilogo del racconto di Sergio Sozi, dove tutto verrà svelato.
Buona lettura!

Cinque
 

«Non starò a nascondermi dietro un dito. Anche perché è giunto il momento che il gioco cessi: vorrei evitare che ne nasca un’inchiesta giudiziaria ufficiale».
            «Come, lei non voleva distruggere pubblicamente Mastrangelo?» Santonastasio scuote la testa a chiedere spiegazioni. L’altro coglie e prosegue calmo:
            «Mi ha preso per un pazzo? Finché l’unico ad indagare era lei, un investigatore privato, bene... ma oltre non si va. Ho in programma di smentire tutto, quanto prima, in una conferenza stampa».
            «Mi sembra il minimo. E con lui come intende comportarsi?»
            «Stasera gli confesserò ogni cosa a quattr’occhi».
            «Non crederà mica che la perdoni cosí facilmente... lei lo ha portato... decisamente sull’orlo del baratro».
            «Resterò disoccupato, certo. Tanto fra un anno vado in pensione».
            «Rischia di andarci in manette. Non per causa mia, ovviamente. A me basta chiamarlo e confermargli i sospetti che avevo su di lei, poi quel che vuole fare fa, io ho finito il mio lavoro. Ma che senso ha, concludere una carriera e un’amicizia in questo modo?»
            «Ha senso proprio perché è il finale. Nei film che piacciono a me, nell’ultima scena gli attori principali si denudano... cercano di esprimere liberamente quel briciolo di verità che hanno scoperto, magari l’uno nell’altro, durante la storia. Una storia durata trent’anni, nel nostro caso».
            «Lei mi sembra persona sincera e integra. Come ha fatto a tacere per tutto questo tempo l’odio che portava per l’artista che rappresentava?»
            «Odio? Tutt’altro».
            «Come definirlo allora?»
            «Ha un amico vero, lei?»
            «Conoscenti molti, anche buoni, ma proprio amici intimi... li ho lasciati fra Siracusa e Roma», ammette Santonastasio.
            «Se li è persi per strada, giusto?»
            «...»
            «Inghiottiti dal nulla, capisco, succede a molti. Tuttavia io, poiché ne ho la possibilità, ho deciso di non fare questa fine. E salvare da se stesso un amico, credo sia la miglior credenziale per ottenere almeno uno di due possibili risultati finali: o allontanarselo definitivamente, o portarlo a capire che gli vuoi bene anche oltre la sua volontà».
            «Continuo a non capire».
            «Cercherò di essere piú chiaro: l’odio si sta mangiando Toni senza che lui se ne accorga. Crede di gestirlo, invece di anno in anno ne è consumato. E i suoi spettatori con lui».
            Carlo Orgosolo abbassa lo sguardo sull’aperitivo e prende a giocherellare con la fettina d’arancio, in bella mostra a cavalcioni sull’orlo del bicchiere. Il bar di Colchi Ametista ha solo tre tavolini esterni, al momento vuoti eccetto quello in cui siedono i due uomini. L’agente, per quanto molto curato, dimostra tutti i suoi sessantacinque anni.
            «Ma la spinta decisiva che mi ha portato, un mese fa, a pianificare questa messinscena me l’ha data una constatazione: che Toni l’avrebbe creduta vera, reale».
            «A me, signor Orgosolo, sembra che lei abbia ottenuto soltanto un effetto: far diventare ancora piú furibondo il suo amico, alimentare il suo odio, non certo diminuirlo».
            «Va bene anche cosí: questa è stata la prima volta che quel ragazzino di quarantadue anni abbia sperimentato su di sé gli effetti del male... con cui ha giocato tutta la vita. Adesso, se ci rifletterà un attimo, Toni avrà la riprova che l’odio e la violenza possono passare da un film alla realtà e non solo viceversa, come accade di norma. La nostra è una società basata sull’emulazione. E i personaggi malvagi sono i piú facili da imitare perché dànno agli stupidi e ai mediocri l’illusione di poter uscire, senza troppi sforzi, dall’anonimato e dal grigiore in cui sono immersi quotidianamente. Spari a qualcuno e diventi una star: lo stanno capendo tutti, ormai, questo slogan, dopo tanti, troppi decenni che i mass media esaltano i criminali finti... magari condannati ma sempre esibiti, dunque protagonisti. Cioè eroici. Belli».
            «Mah... solo pochissimi squilibrati divengono mitomani o assassini per colpa dei film».
            «Non cosí pochi, dicono le cronache. Li legge assiduamente i giornali, lei?»
            «Non piú di un paio di volte a settimana. Preferisco la poesia greca o romana».
            «Cinema, stampa, Internet e tivvú: nel complesso una gigantesca cassa di risonanza del male che genera replicanti. Il bene non fa notizia e non vince premi ai festival, non viene considerato arte né cronaca da mettere in risalto. Vede? Lei, Santonastasio, vuole tenersi distante dal male, perché, da persona moralmente forte e caratterialmente stabile, oltre che non piú giovane, sente che ne potrebbe essere sedotto e assorbito. Ma la massa non è come lei... come noi due. La gente vuole, sia dalla cronaca giornalistica che dalle opere d’arte, solo sangue e sesso. La massa è fatta di topi di laboratorio passivi a qualsiasi esperimento dei cosiddetti artisti. Persino Toni – artista non superficiale, persona sensibilissima e fine psicologo, mi creda – persino lui, dico, si è lasciato coinvolgere dal suo personaggio al punto da entrare in combutta con un gruppo di volgari satanisti erotomani... che prima o poi ammazzeranno qualcuno sul serio. E lí cominceranno i guai seri per Toni».
            «Cosí lei, Orgosolo, si sta sacrificando per il bene del suo miglior amico. Crede che Mastrangelo capirà, o semplicemente andrà dai miei colleghi a denunciarla?»
            «Non me ne frega niente. Mi basta di aver agito secondo coscienza».
            «O la va o la spacca», termina il Nostro insieme al suo Campari senza ghiaccio. E sorride. Mentre il Terzo gli urla dentro: «Fesso, se mi interpellavi prima ci saresti arrivato in un soffio, mica col solito lavorío interiore che ti rompe le ossa. Stacanovista dei miei...»
 

Epilogo

 

Dal Corriere della Sera del 22 gennaio 2015, a pagina 12, in cronaca italiana: 

MASTRANGELO RIAPPARE IN PUBBLICO

MILANO - «Soltanto illazioni prive di fondamento, diffuse da persone delle quali non conosco né desidero conoscere l’identità»: cosí ieri l’attore, apparso sereno e in compagnia del suo agente Carlo Orgosolo, in una gremita conferenza stampa nella sede della ABL Cinematografica, l’azienda che sta producendo, insieme a dei colossi americani, il suo prossimo film. Ma non è tutto perché Mastrangelo, oltre a liquidare le voci girate insistentemente in queste settimane che, tra l’altro, lo davano vittima di una persecuzione da parte di ignoti ricattatori (per approfondimenti vedansi CdS del 13 e del 16 gennaio scorsi ed intervista a Mastrangelo qui nello Spettacolo), ha desiderato anche fornire alla stampa una anticipazione, che riportiamo non senza un pizzico di stupore: «Questo sulla Grande Guerra sarà il mio ultimo film: passo all’editoria fondando, in società con il mio caro amico Carlo, la Mastrangelo & Orgosolo Libri, MOL. Il primo titolo, in uscita a fine marzo, sarà un romanzo per ragazzi». Come commentare? Poveri figlioli!
 
 
(© Sergio Sozi. Lubiana, iniziato a giugno e terminato il 26 agosto 2014)
Oggetti volanti (poesie – FRA.RA., Perugia 2000. Segnalazione Premio Sandro Penna 1999)
Il maniaco e altri racconti (Valter Casini Editore, Roma 2006. Racconto eponimo segnalato nel 2002 dal Premio Trieste Scritture di Frontiera)
Il menú (romanzo – Alberto Castelvecchi Editore, Roma 2009)
Ginnastica d’epoca fredda (saggio e racconto eponimo – Historica Edizioni, Cesena 2009)
Intervista a Claudio Magris (ib. 2009)
Il filosofo e il giullare – intervista a Umberto Galimberti (ib. 2011)

giovedì 18 settembre 2014

IL BERSAGLIO di SERGIO SOZI parte seconda

Qui di seguito pubblichiamo il terzo e quarto capitolo del racconto inedito di Sergio Sozi. Il finale con la soluzione sarà on line la prossima settimana, per chi non avesse, nel frattempo, scoperto il colpevole. Buona lettura! 

Tre


Sparito l’attore, Santonastasio non tarda a rivolgersi ad Euterpe III, quello dei suoi due gemelli interiori che meglio si addossi i pensieri d’ordine strettamente sbirresco.
            «Secondo me...» conclude costui mentre il capitàno, in salotto, si scola l’ennesimo bicchierino di grappa nepalese «...qui di piste ce ne sono svariate: la prima, vabbè, è la moglie Emanuela che fa tutt’uno con l’amante Bruno (notare la rima); la seconda l’azienda di produzione cinematografica con la quale Mastrangelo è ai ferri corti in tribunale e la terza i mafiosetti che gli spararono anni or sono e che sicuramente non han dimenticato le botte ritirate al posto del liquido (se non consideriamo il pus). E anche una quarta: i suoi colleghi che, stiamone certi, farebbero salti di gioia a spedirlo prima fuori dal giro e poi magari drittodritto in braccio al Creatore. Gli fanno andare in tilt i gangli, lui si autoisola, respinge i contratti, arriva la depressione insieme alle solite droghe, si sparge la voce che è inaffidabile... infine la spedizione, via pillole o roba pesante maltagliata, al capolinea Settimo Cielo. Mica poco, eh, capo?»
            «Un corno!» replica Euterpe-Euterpe scocciatello «ma non vedi che stiamo ancora ai blocchi di partenza e privi di qualsiasi affidabile indizio?»
            «Eccoci alle solite menate: vuoi che ti indichi io come e da dove cominciare la tarantella».
            «Ti mantengo a grappe ed Emmesse maild come un principe, me lo dovresti, no?»
            «Brutto non potersi separare. Per le identità multiple nessuno ha ancora pensato ad applicare il diritto civile. Ah, stessimo in America...»
            «Civile... tu civile, Terzo! Dài, piantala e dammi il la».
            «E che, so’ un diapason?»
            «No, sei solo suonato».
         «Specularmente parlando concordo a pieno, capo delle mie ciabatte. Ma ora... mh... dàmmi retta: inizia le indagini vedendo se ne sa qualcosa Gaetano Barresi».
            «Tano... ne son trascorsi di anni ormai... be’, perché no. Spero non sia morto di cirrosi. Domattina lo chiamo».


«Toni Mastrangelo? Proprio quello, l’attore, mi ha detto, capita’?» chiede senza nascondere una via di mezzo fra distrazione e curiosità Gaetano Barresi, mentre continua a tener d’occhio la canna da pesca sul molo, per niente affollato vista l’ora ancora distante dal pranzo e considerato il mese, un lavorativissimo gennaio in cui, nonostante il cielo limpido, i triestini ben poco si accorgono che la città sta sul mare; poi «posso informarmi senza probblemi» prosegue col sempre marcato accento romano, «ma si dice da anni che Mastrangelo sia uno un po’ esagerato... esagerato in tutto...» e si interrompe per dare una strattonata alla lenza.
            «E dài a fare l’oracolo di Delfi», rimanda il Nostro, sornione, accendendosi una sigaretta. «Il tuo consueto modo per chiedere quanto pago per approfondire il discorso. Pago, pago, tranquillo». E gli fa scivolare nella tasca del giubbotto una bella banconota di quelle marroncine con scritto cinquanta. «Altre cinque uguali a lavoro compiuto, piú rimborso spese. Adesso prosegui, poi entro un paio di giorni mi mandi il papier. Non per posta elettronica... non provarci o chiudo il rapporto: consegna a domicilio nella buca delle lettere come un tempo, chiaro? Metodo sperimentato e sicuro».
            «Contento lei capitàno... ecco, Mastrangelo a Cinecittà ha fama di nevrastenico. Lo sono un po’ tutti i miei ex colleghi der cinema, però... be’ finora, grazie all’agente, che è uno molto ben piazzato, ha lavorato tanto, ma... correva voce...» ed estrae una corpulenta fiaschetta dalla saccoccia interna.
            «Che, sei passato ai super
            «Niente piú benzina da cinque anni, capitàno... è che stando qui a pescare tutto il giorno mi viene sete e non mi va di farmi spennare dai caffè delle Rive. Cosí mi porto dietro acqua e limone, come gli scout».
            «Fesso. Dài, prosegui: corre voce che...»
            «Un attimo...» lo interrompe l’uomo, che ripone la fiaschetta nella stessa tasca, estrae dall’altra un thermos odoroso di caffè e se ne versa in gola un paio di sorsi. Poi si allontana con un cellulare in mano per qualche minuto e di ritorno: «...dicevo che Mastrangelo s’è bruciato il cervello a suon di coca, alcool e incontri strani. Lui sí, che va con i super... tutto super: una separazione dalla moglie che fra poco, con la sentenza definitiva del tribunale di Venezia, diventerà un superdivorzio, visto che lei gli ha chiesto mezzo milione di euro all’anno di alimenti e lui gliene ha dovuti concedere trecentomila per avere almeno una piccola speranza di chiudere la causa. E ancora: supercoinvolto con la ’ndrangheta del suo paesello natale giú in Calabria, che se non lo avessero spinto quelli, lui la carriera se la sarebbe sognata... e... e supergiocatore... ha delle ipoteche, si mormora. Troppe. Eccetera eccetera. Il séguito, Santonastasio, glielo scrivo dopodomani a mezzogiorno con le virgole e i puntini al posto giusto».
            «Bravo: quando metti nero su bianco, niente sentito dire, solo fatti veri e accertati. Però attenzione: devi tener presente anche la moglie. Sai come reperirne i dati? La puoi rintracciare? Ah, non ne dubitavo. Adesso toglimi una curiosità: ma come fai, dopo vent’anni che non reciti piú a teatro e dieci che sei uscito dai Servizi, a saperne ancora come una... di quelle d’alto bordo?»
            «Sono un morto de fame. I pezzenti, nell’ambiente artistico d’ogni tempo, suscitano simpatia e solidarietà. Inoltre, poiché grazie alla crisi ormai semo in tanti, ce se dà ’na mano a vicenda. Per esempio due de quei suoi bbiglietti marroni io so già a chi li devo passare. Il resto va per mi’ moglie, come ar solito». E con mossa fulminea da tennista, l’ultrasettantenne Gaetano Barresi estrae dal triestin Adriatico un branzino che peserà di sicuro almeno quanto l’intero suo braccio destro.


«Motore... ciàc... azione!»
            La voce di un regista nell’impartire gli ordini di prammatica non è cambiata, dopo oltre cento anni di pellicole: sempre vagamente liturgica e un po’ irritante per la troupe. E neanche uno scenario di guerra del 2015 differisce da uno analogo della ’15-’18, se proprio si desidera ricostruirlo: trincee con cavalli di frisia, sacchetti di sabbia, baracchette per i cecchini, fossati fangosi... e un sonoro che raramente parte senza botti. Proprio come adesso. Appena avviate le telecamere digitali il teatro dell’azione, posto al centro per poter essere inquadrato contemporaneamente da diverse angolature, prende a pullulare di frenetici soldati che, rivestiti di sporche e rozze uniformi grigioverdi, strisciano come lucertole gettando oltre il filo spinato bombe a mano simili a giganteschi funghi e collane di fucilate assortite con obici a piú dimensioni, fra cupi rimbombi di esplosioni, fischi di proiettili e imprecazioni di commilitoni e superiori, agitati o feriti. Evidentemente il momento del conflitto non dev’essere dei migliori per chi sta da questa parte della barricata.
            «Ecco, adesso: entra, Toni!» fa l’Aiuto-regista sottovoce dandogli un’amichevole spintarella. Mastrangelo, con indosso una mimetica da sottotenente dell’esercito italiano opportunamente maltrattata e lorda di mota marrocina, si butta carponi un paio di metri a destra dell’obiettivo della Numero Tre, estrae fulmineamente una grossa Luger e, a bruciapelo, scarica due colpi sulla schiena di un tenente che gli sta a fianco. Poi si guarda attorno e, verificato di esser solo – gli altri sono distanti ed occupati a respingere l’assalto avversario, il cielo è coperto di nuvole – scava in fretta una buca e vi seppellisce la rivoltella, ghigna soddisfatto e continua il percorso camminando accucciato verso una postazione coperta, presente a poca distanza. La Numero Tre lo segue in soggettiva mentre entra nel modesto ambiente: vi sono tre soldati in linea, intenti a sparare da altrettante feritoie. Quello di sinistra si volta amichevolmente verso Mastrangelo: «Ah è qui, signor sottotenente...» ma questi ricambia la cortesia piazzandogli una pallottola in testa, stavolta grazie a una Beretta che immediatamente rivolge agli altri due, abbattendoli senza dire una parola. Toni non suda neanche, registra la Numero Uno: con una paletta metallica scava in un angolo del polveroso pavimento e in breve ne estrae un involto contenente una divisa da fante austriaco che egli indossa, riponendo quella italiana nello stesso luogo. Una volta copertala di terriccio, con rapida accuratezza esce, si arrampica sul fianco del fosso che dà sull’esterno, scansa un grosso sacco di rena e chiatton chiattone prende a dirigersi verso il fronte nemico, quando una forte deflagrazione gli succhia d’un tratto il sangue freddo sino all’ultima goccia: «Ma porca... stop! Ho detto STOP!!» urla.
            L’ordine viene ripetuto dal regista. Un improvviso silenzio cala sul set.
            «Che ti piglia adesso?!» lo investe stizzito l’Aiuto.
            «Come che mi... boia della miseria!!»


«Ho mascherato la cosa con un malessere improvviso ma quella, mi creda, era una granata vera. Vera, capisce? Fossi stato tre metri piú a destra mi avrebbe preso in pieno. L’onda d’urto mi ha tirato via il berretto e scompigliato i capelli. E vedesse la buca! Meno male che non se n’è accorto nessuno perché tirava vento – siamo sul Carso, – gli effetti speciali sono ad alto volume, il cameraman era distante e inoltre la scena è disseminata di fosse finte... una piú, una meno...»
            «Accipicchia...» non riesce a commentare diversamente Santonastasio all’altro capo del filo «...e quanti giorni mancano al suo compleanno... tredici, già. Dunque hanno fretta di concludere il discorso con... largo anticipo. E magari questo significa anche che se riusciamo a superare indenni la sua festa l’assass... ehm il persecutore le darà partita vinta e la lascerà in pace».
            «Se è mia moglie, non ci credo affatto. Mi vuole stecchito. Quando che sia».
«Un attimo. Alla luce di questa bomba non è da escludere – anzi adesso è probabile – che la gamma delle tipologie sia la seguente: uno psicopatico che vuole sfidare i nervi del divo; qualcuno che cova vecchi rancori; o qualche malato di invidia fra il personale. Le mie ricerche insomma dovranno indirizzarsi per forza lí, sul suo attuale set. Ma suppongo ci giri tanta gente, no? Perciò il nostro amico, ancora coperto dall’anonimato, ci riproverà senz’altro e ben presto. Ora, Mastrangelo, mi faccia avere quanto prima un elenco completo del personale presente sul Carso e dei visitatori d’ogni tipo, inclusi quelli che ci sono capitati solo cinque minuti: scenografi e relativi assistenti, scavatori, manovali, fornitori di armi di scena, attrezzisti, facchini, amici amanti e conoscenti con o senza passi... persino il nome dell’agente della compagnia assicurativa... insomma tutti tutti, chiaro? Dal truccatore al sorvegliante notturno. Voglio una lista piú dettagliata dei titoli di coda. Poi... senta... lei vuole proprio continuare a girare?»
            «Proseguo fino all’ultimo ciàc, certo, mica posso interrompere il film a metà... una coproduzione italoamericana ad alto budget! Una parte deliziosa di coprotagonista in una storia ispirata ad una vicenda realmente accaduta nel 1917: i due efferati traditori Giacomo Prampolelli – impersonato da me – ed Eugenio Pesci, che riuscirono a sabotare l’esercito italiano e a salvare la pelle a Vienna, dove, sotto falso nome, divennero ricchi per morire infine nel proprio letto in età avanzata, circondati dall’affetto familiare. Negatività pura. Roba da Oscar. Poi guardi, Santonastasio: se mi tiro indietro dovrei pagare una grossa penale e inoltre, al momento, non dispongo di altri contratti. Potrò solo farmi accompagnare sul set dai miei due scimpanzè: sono tipi svegli di cervello... stavano nelle teste di cuoio francesi».
            «Ma cosí desterà sospetti... un attore che a gennaio si fa scortare sulla scena in mezzo al Carso piú che mai deserto...»
            «Alternative?»
            «Mh. Il regista è americano?»
            «Nato a Los Angeles da genitori italiani».
«Allora sarà abituato ai tipi stravaganti. Gli dica che ha bisogno dei suoi... camerieri personali che le devono servire una dose di whiskey ogni fine scena».
«Il cordiale me lo passa già adesso in abbondanza l’Aiuto-regista... sa... qui siamo durante la prima guerra mondiale...»
«Siringa di robba personalizzata?»
«Ehm... self service».
«Ma lei, perdinci, è nato nel vaso di Pandora! Insomma trovi una scusa qualsiasi per non farsi fare la pelle mentre lavora. Intanto io vedrò di accelerare i tempi. Un fidato informatore mi ha appena consegnato un rapportino da cui sto deducendo parecchie cose utili, che momentaneamente non riferisco per evitare che le sfuggano di bocca in qualche momento di... sogno ad occhi aperti... ci siamo capiti. Intanto mi tenga aggiornato: la richiamo io domani verso le ventuno, d’accordo?»
«Ottimo, a quell’ora, se non già deceduto, sarò libero di sicuro».
«Tocchiamo ferro».
«Ferro un c...»
Abbassato il ricevitore, Santonastasio rifiuta con decisa cortesia la consulenza offerta da Euterpe III e dissigilla la cartella giallo ocra, appena estratta dalla cassetta delle lettere:

Caro capitàno, si ricorda nei dettagli il nostro colloquio dell’altroieri sul molo? Eh no, sarà difficile che, anche un intellettualone come lei, possa rammentare ogni particolare di quel dialogo peschereccio. Ebbene...


Quattro


...le avevo accennato agli incontri strani del nostro soggetto – scrive l`informatore –. Ecco, mi sono chiarito le idee: in realtà sono peggio che strani. L’attore ha a che fare con una setta satanica, una fra le piú pulite, o quasi, cioè dedita a orge selvagge legali, con droghe (queste meno legali) ma senza sangue né violenza... eppure molto pericolosa, a giudicare dalle idee malvagie che la guidano. Questo, Santonastasio, glielo posso scrivere con sicurezza perché son riuscito a procurarmi un testo, una specie di preghiera diabolica vergata di propria mano dal soggetto stesso e da lui firmata insieme ad un altro tizio, di cui le dirò piú sotto. La allego senza, purtroppo, per ovvia delicatezza e tutela delle fonti, poter precisare le modalità in cui ne sono venuto in possesso. Per venire alle altre scoperte, eccogliele elencate di seguito:
1) Telefonando a un mio vecchio amico che fa il figurante da una vita, ho scoperto che adesso lavora sul Carso proprio nel film di Mastrangelo, dunque ieri lo sono andato a trovare in loco. Ecco. Era un momento di pausa e, tra le maestranze occupate a consumare i cestini-pranzo, non mi è sfuggita un’altra presenza: quella di Franco Lumia, un maturo sarto di scena siciliano che, diversamente da me, è riuscito a passare dal palcoscenico al set. Ho finto di non vederlo ma so che mi ha notato. E so anche che era un fanatico religioso, di quelli cattolici ortodossi che rasentano l’integralismo. È lui l’addetto agli abiti di Mastrangelo, insomma lo veste riveste e spoglia a ogni cambio di scena. Visto il vizietto di Toni, sarà lecito considerare quei due come il Diavolo e l’Acqua Santa: che tipo di convivenza avranno instaurato? Un ménage non privo di attriti cioè di rischi per il Nostro... e niente di meno per l’altro. Ma qui il perseguitato è il Diavolo, non l’Angelo.
2) La signora Emanuela Dessí, entro breve (tredici giorni esatti se la sentenza di divorzio verrà emessa puntualmente) ex coniuge del Mastrangelo, non è tipo che cerchi di nascondersi. Tutt’altro: è limpida come il Po a Pian del Re. E non ha amanti. Nessuno, benché a trentacinque anni e munita com’è di bella presenza potrebbe permettersene piú di uno. Invece vive da sola a Trieste mantenendosi con un dignitoso lavoro saltuario di doppiatrice a Roma e qualche particina in film d’essai; dunque non naviga nel denaro ma non se ne lamenta affatto. Inoltre le voci sugli alimenti principeschi erano del tutto false e immagino da chi messe in giro: in verità lei gli ha chiesto trentamila euro l’anno (ho letto il verbale) che l’avvocato di lui è riuscito a portare a ventimila scarsi! Se lo accoppasse sul serio (il marito non l’avvocato) il mondo non ci perderebbe, ma quella donna è troppo seria per – dopo essersi abbassata a sposare Mastrangelo – abbassarsi di nuovo ad usare mezzucci simili per ripicca o interesse economico.
3) Riassuntino di altre notiziole utili ad indirizzare l’indagine:
La ABL Cinematografica, azienda di produzione italiana del film insieme ad altre due statunitensi, è piena di debiti. Nonostante questo ha sottoposto un contratto da ottocentomila euro a Mastrangelo (duecentomila in anticipo, il resto a lavorazione ultimata). L’altro protagonista della pellicola, un italoamericano alquanto noto negli USA, ne prenderà solo la metà. Motivo del trattamento privilegiato: Toni incontra il presidente della ABL, Lucio Neri Bossi (è lui il cofirmatario della preghiera luciferina), nelle riunioni orgiastico-magiche della anzimenzionata setta – sta a significare che molto probabilmente l’attore lo ricatta, perché Bossi è sposato con prole. Fatto sta che le ipoteche di Mastrangelo (ben quattro e grosse) sono state sciolte, qualche giorno fa, grazie a una serie di versamenti effettuati dall’attore stesso stranamente nelle medesime date di una serie di esborsi registrati come ‘‘straordinari’’ dall’ufficio contabilità della ABL. A sommare il compenso professionale e questi extra bonus si ottiene, guarda caso, il totale delle ipoteche del nostro divo.

Ed è tutto. In una busta a parte, troverà qualche numero di telefono per proseguire da solo. Se servisse altro non faccia complimenti, sor capitàno: come sempre sarà mio punto d’onore riuscire a farle risolvere il caso quasi senza dover uscire di casa.

Suo aff.mo
Gaetano Barresi

Cosí stando le cose – medita Santonastasio richiudendo la cartella – la lista dei nomi che ho chiesto a Mastrangelo diventa del tutto inutile... o meglio... un attimo... quell’elenco di persone presenti sul set carsico servirà a coprire il mio vero pensiero agli occhi di questo attore un po’ troppo losco per i miei gusti. Continuando davanti a lui a concentrare le mie indagini sui suoi colleghi e sulla moglie, non gli farò sospettare minimamente che invece ho appena messo sotto i raggi x lui e il suo compagnuccio di merende Lucio Neri Bossi. Perché è evidente: escludendo il sarto cattointegralista – per quanto invasato sia, mi sembra eccessivo considerarlo un assassino – ed eliminando anche la pista della ’ndrangheta, visto che Mastrangelo o ne è membro o ne è un caro amico, le ipotesi che stanno in piedi restano... mah... diciamo in primis una: l’attentatore è Bossi, il quale, prima di ucciderlo, sta cercando di recuperare da Mastrangelo i soldi che ha dovuto versargli finora per pagarne il silenzio sulla setta satanica – dunque, se fosse cosí, Toni mi starebbe nascondendo una richiesta di denaro fattagli dal suo anonimo persecutore quando lo ha chiamato telefonicamente, e me la sta nascondendo perché non immagina che la preghiera sia il vero motivo della persecuzione, ossia non sospetta del Bossi. E fin qui a considerare diciamo candido l’attore. Però, proseguendo nella stessa ipotesi, eccone un altro risvolto che gli macchierebbe alquanto la coscienza: Mastrangelo, mentre confida in me per scoprire l’identità dell’attentatore, sta approfittando della faccenda per incolpare la moglie – della quale sa l’innocenza – in modo da vincere la causa con lei ed evitare di darle i miseri ventimila euro che le dovrebbe per gli alimenti. Siccome il giorno del suo compleanno è anche quello previsto per l’emissione della sentenza di divorzio, Mastrangelo sta facendo di tutto per dimostrare la colpevolezza della donna entro tale data.
Ma... cosa ho detto? Il compleanno di Mastrangelo coincide con la sentenza, sí, ho detto!
Già. Dunque quella data ora mi dovrebbe sembrare un tantino troppo centrale, anzi... forse... studiata. Vediamola un po’. È importante in tre contesti attinenti: per la causa di divorzio, per l’evidente intenzione di Mastrangelo di strumentalizzarla contro la moglie e... per il persecutore, che l’ha inserita nelle lettere minatorie. Dunque, guarda caso, quella data, nelle lettere, fa combaciare gli interessi del perseguitato con quelli del persecutore.
Da qui ecco sgorgare un’altra ipotesi: la persecuzione e gli attentati sono solo una farsa, il cui autore è Mastrangelo in persona, che vuole condurmi a collegare due nomi ben precisi, avendo l’intenzione di spedirli in prigione in tandem grazie a me: Emanuela e Bossi. Ma, mi chiedo, perché? Emanuela va bene... la odia e non vuole passarle gli alimenti... ma Bossi? Se lo mandasse in galera lo rovinerebbe e non potrebbe piú mungerlo. Non ha senso. Mh. A meno che... certo, dimenticavo la situazione finanziaria del produttore! – grida Santonastasio prendendo a rigirarsi fra le mani la busta contenente la preghiera satanica. E prosegue: – il discorso deve essere cosí impostato: prima che cominciassero le lettere di minaccia, ma dopo la firma del supercontratto per il film e anche dopo gli altri esborsi ‘‘extra’’, Bossi, ormai depauperato, deve avere detto a Mastrangelo: ‘‘Hai visto che contratto coi fiocchi ti ho fatto? Sei contento? Be’ la ABL sta per fallire, dunque, d’ora in avanti, da me non vedrai piú un soldo: divulga pure la nostra preghiera. Provocherai uno scandalo che non finirà piú e ci rovineremo entrambi la carriera. Tanto io, ormai, sono un uomo finito. Anzi guarda: se mi dài ai nervi con altre richieste di denaro, la copia di quella preghiera, che tu sai è nelle mie mani, la rendo pubblica io. Dunque comportati bene, Toni, lasciami in pace, lavora e fa’ il bravo bambino’’. Cosí Mastrangelo, il quale tutto vorrebbe meno che questo (ed oltretutto odia i bravi bambini), mette in atto velocemente la contromossa: inizia ad autominacciarsi ed autoattentarsi e assume me. L’attore, manipolando ben bene le informazioni che sarebbero dovute giungermi all’orecchio, pensava di portarmi a capire il contrario del reale, cioè che era Bossi a ricattare lui per la setta satanica e siccome lui, Toni, non voleva cedere, il produttore aveva preso a minacciarlo e bombardarlo per convincerlo a pagare. Immagino che per rafforzare tali accuse Mastrangelo, in questi giorni, abbia anche iniziato a versare, all’insaputa di Bossi, qualche migliaio di euro sul suo conto corrente bancario. Mh. E sí... diabolico l’obiettivo dell’attore: eliminare il pericolo Bossi, il pericolo sputtanamento, e distruggere l’Emanuela. Dunque questa preghiera compromettente è stato Toni a farla avere a Tano perché giungesse nelle mie mani. Mastrangelo, nel firmare con me il contratto di consulenza investigativa privata, ha veduto bene di inserire un comma che mi impedisce la divulgazione di qualsiasi atto emergente dalle mie indagini che possa esser pregiudizievole per il buon nome del cliente. Insomma Toni sa che non potrò mai esibire questa fottutissima preghiera: nel mio cassetto è piú sicura che nel caveau di una banca. E mentre Bossi finisce dentro per tentata estorsione, tentato omicidio, lesioni, minacce e persecuzione postale, Toni riesce a rubargli l’altra copia della preghiera che evidentemente il produttore deve conservare in qualche parte che lui immagina o sa. Emanuela, anche se presto scagionata, resterà comunque pubblicamente implicata, cioè infangata, in una vicenda di satanismo e probabile ricatto ai danni del marito. Ecco. Brutta robba.
Ma c’è un ma. Se Mastrangelo vuole portarmi a tutto questo, perché non mi ha ancora detto qualcosa tipo: ‘‘Bossi mi sta ricattando per una certa faccenda e secondo me, in combutta con mia moglie, per forzarmi a pagare ha preso a spedirmi lettere minatorie ed ora, a mostrarmi che non scherza, anche bombe vere sul set’’? Ecco... perché, ripeto, non mi ha ancora detto questo, o qualcosa di simile, magari mettendomi personalmente sotto gli occhi questa preghieraccia, il benedetto Mastrangelo?! Forse perché sta fingendo di non essere arrivato a capirlo? Perché è sicuro che ci sto arrivando io? O perché... ma è evidente! Perché dovevo arrivarci da solo: arrivandoci da solo avrei concluso che la vittima era lui, se me ne avesse parlato avrei sospettato che mentisse!
Ma non mi conosce a sufficienza, il guitto. Eh no. In conclusione, d’ora in avanti questo sarà il mio comportamento: bocca cucita e attesa degli sviluppi. Io non ho ricevuto nessuna preghiera satanica e sto perdendomi fra i rivoli dei mille altri individui sospettabili: il sarto, la moglie, i suoi colleghi invidiosi, la ’ndrangheta, eccetera. Insomma prendo tempo. Presto o tardi, se una delle due ipotesi è quella giusta, o Mastrangelo o Bossi uscirà allo scoperto ed io, zitto zitto, potrò coinvolgere i carabinieri di Venezia semplicemente mandando loro in forma anonima, per posta, questa preghiera dei miei cabasisi... meglio se insieme a qualche riga battuta al computer dove faccio nomi, cognomi e numeri telefonici.


Attorno alle undici della mattina successiva a quanto appena visto e sentito, la suoneria del telefono grigiotopo anni Settanta di casa Santonastasio per l’insistenza scatenerebbe un’emicrania doppia e acuta pure a un giovanotto di quelli discotecari che straballa la techno ogni notte.
            «Lo so che eravamo rimasti per sentirci stasera alle ventuno, capitàno», dice l’attore, «ma c’è un cambio di programma».
            «Prego», replica asciutto Euterpe sveglio da poco.
            «Stasera alle nove devo essere a una serata di beneficenza al Teatro La Fenice di Venezia... una rottura tremenda di cui m’ero del tutto dimenticato: orchestra da camera e brani lirici, con ripresa televisiva. Sono stato annunciato e se mancassi convaliderei le voci che già mi dànno per malato di nervi».
            «Allora, come restiamo?»
            «La aggiornerò domattina dal set... lei ha niente da raccontarmi?»
            «Piano piano sto componendo una rosa di sospetti... che sto facendo pedinare o intercettare... ma ancora niente di sicuro. Lei, Mastrangelo, altri messaggi anonimi?»
            «Nella posta di stamattina no. Vado a lavorare quasi tranquillo, mi pare. Arrivederci».
            «Un attimo, non riattacchi: la lista del personale del film... si ricorda... me la faccia mandare entro oggi, mi raccomando».
            «Ah... d’accordo... appena l’ho preparata telefono allo spedizioniere, cosí le arriverà nel pomeriggio, ci conti».
            Mh – pensa Euterpe – neanche se ne ricordava... figurati che importanza può darle. Poi oggi mi sembra sfuggente. Secondo me sottopelle gli premeva la curiosità di sapere se avessi già ricevuto la sua preghiera.


In seconda fila, la poltroncina di velluto rosso numero ventotto attendeva solo lui: l’unica ancora vuota, stretta fra politici annoiati, registi sbuffanti e soubrette dallo sguardo opaco, tutti invariabilmente scontenti della mezz’ora di ritardo con cui il programma sta per avviarsi. Comunque ormai ci siamo: le luci, con la consueta triplice intermittenza, hanno appena dato la mezzasala e il brusio del folto pubblico sta, mano a mano, placandosi. Il teatro, zeppo di spettatori, tecnici e materiali da ripresa, che ne occupano ogni centimetro quadrato, a questo punto non potrebbe ospitare altri che Mastrangelo. Mentre si aprono le due grandi quinte verdi l’uomo accede alla platea: ha dovuto lasciare gli scimpanzè nella hall e la maschera che lo affianca gli sta indicando il posto riservato. Notandone l’entrata nel corridoio centrale, un paio di spettatori accennano un timido applauso, subito represso a gesti dall’attore che guadagna in fretta lo stretto spazio tra le serie di seggi e, scusandosi con i colleghi costretti ad alzarsi, lo percorre fino circa alla metà. Stringe al volo la mano di chi gli sta di lato ed ecco: si è seduto. L’urletto di Toni non viene percepito da nessuno, perché coincide con il sorridente buonasera della presentatrice che, tramite gli altoparlanti, dà il via alla serata musicale – inoltre tutti gli sguardi sono puntati sulla ribalta. Massaggiandosi l’indolenzita natica destra l’attore prende a ispezionare il sedile: prima la superficie superiore poi quella di sotto. In un secondo diventa cadaverico, infilatosi di soppiatto qualcosa in una tasca della giacca scura si leva con decisione, quasi calpestando tutti giunge sotto i palchi, dove imbocca un’uscita laterale e prosegue fino alla caffetteria dell’atrio. Al bancone le sue due guardie del corpo stanno consumando qualcosa d’analcolico e non possono nascondere lo stupore di rivedeselo davanti dopo appena cinque minuti. Toni ne prende una sotto braccio e allontanatosi di qualche metro «Presto, portami al pronto soccorso!» ordina esagitato.


            Attorno alla mezzanotte Mastrangelo è solo in casa: «Capitàno... stavolta...» gli trema la voce e tiene in mano una specie di secchio di gin puro «...quella psicopatica ce l’ha fatta a colpirmi. Una siringa fissata, a punta all’in su, sopra uno sgabelletto nascosto sotto il sedile. Invisibile e micidiale. Con il mio peso ho azionato lo stantuffo. L’hanno subito analizzata in laboratorio e per fortuna conteneva un’innocua mistura di acqua distillata e vitamina B. Mi hanno dimesso. Ma la cosa è trapelata alla stampa... son dovuto scappare agli intervistatori. Ormai è chiaro: la bastarda vuole solo sputtanarmi. Le basta distruggermi la carriera. Quel che rimane di Toni Mastrangelo lo demoliranno la povertà e l’angoscia».
            «Oppure gioca come il gatto col topo: l’ultima unghiata arriva alla fine del divertimento, mai prima. Forse il gatto smetterà di divertirsi il giorno che sappiamo».
            «La gatta. Dio la fulmini. Mai come quest’anno ho avuto voglia di raggiungere il mio compleanno».
            «Dio dice... mh... senta Mastrangelo: non può riuscire a chiudersi in casa per i dodici giorni che restano?»
            «Impossibile. La produzione ha una fretta indiavolata».
            «Indiavolata mo...!»
            «Santonastasio, che si mette a fare l’eco?»
            «Repetita iuvant sed variatio delectat. La smetta con la storia di sua moglie, su».
            «Ha altri candidati? Devo ricordarle che l’ho assunta per svelare questo mistero prima che mi ammazzino, PRIMA sottolineo».
            «Ma chi la ammazza a lei, Toni... figuriamoci!»
            «Non mi piace questo tono: vuole per caso rinunciare all’incarico?»
            «Tanto, per quel che servo... diciamo che se non traggo un ragno dal classico buco entro tre giorni, il quarto lascio l’incarico. Concorda?»
            «Per niente... guardi... mi sto irritando».
            «Diventa pericoloso quando si irrita, lei?»
«Meglio non mettermi alla prova. Sicuramente non faccio il samaritano con uno che pago per salvarmi e invece mi sfrutta e... e magari mi nasconde anche qualcosa. Allora... che le gira in testa, capitàno?»
«Niente di particolare, per adesso». Santonastasio sta per salutare, ma si dà una pacca sulla fronte e prosegue: «...se invece risponderà alla domanda che sto per porle, credo che qualche ingranaggio, forse solo una miserrima rotellina, comincerà finalmente a muovermisi nel cervello... etto... il cervelletto».
            «Dica».
«Quanto la sento freddo stasera, Toni. Allora. Chi conosceva il suo appuntamento alla Fenice e il numero preciso del posto?»
            «Mah... non saprei esattamente... la poltrona me l’ha assegnata di certo qualcuno della produzione Rai che ha affittato il teatro, ma anche il personale di sala ne era certamente a conoscenza. Poi Rosaria, la mia segretaria, come al solito».
            «Nessun altro, ne è proprio sicuro... non ha saltato qualche passaggio?»
            «Ah già...»
            E gli fa un nome.
            «Immagino che sapesse anche qual era la sua esatta posizione sulla scena del film».
            «È verosimile, capitàno. Ma secondo me i suoi sospetti sono assurdi».

            «Assurdità per assurdità... si inventi qualcosa... insomma faccia in modo che venga a casa mia domattina... diciamo a mezzogiorno. Voglio pranzarci insieme».

©Sergio Sozi. Riproduzione vietata.

giovedì 11 settembre 2014

IL BERSAGLIO di SERGIO SOZI - prima parte


Uno 

 

L’uomo dimostrerebbe meno dei suoi quarantadue anni, non fosse per quell’espressione un tantino marcata del viso: come se l’avessero disegnato con il carboncino e ogni piega della pelle si mostrasse raddoppiata. Capigliatura corvina e folta, statura atletica, occhi pressoché turchini acuminati e avidi, Toni Mastrangelo sembra uno in grado di gestire al primo impatto qualsiasi ambiente o situazione in cui si trovi, dalla partita a calcetto improvvisata con dei nuovi conoscenti alla serata di beneficenza sotto le telecamere. Quel che si suol dire una gran capacità di adattamento – dopotutto caratteristica comune a tutti coloro che svolgano la sua professione.
            «Grazie, faccio da solo», sussurra bloccando gentilmente a Santonastasio l’atto di zuccherargli il caffè. E si sporge per immergere il cucchiaino nell’ampolletta d’argento.
            Cosí Euterpe, seduto sulla poltrona rosso pompeiano all’altro lato del tavolinetto, rinuncia al servizio destinando alla propria tazzina il dolcificante.
            «Non mi sembra ingrassato dai tempi di Rex», nota l’ex carabiniere constatando il mezzo cucchiaino di Mastrangelo, e continua: «però va detto che non guardo la tivvú dal Cinquantaquattro... mi riferivo solo a una sua foto che mi capitò sott’occhio su una di quelle riviste per...»
            «Ragazzine e casalinghe, sí sí... per non farmi odiare anche da loro mi tocca apparirci spesso con tanto di sorriso solare e rassicurante... in giacca e cravatta... mentre gioco a tennis... sa... è il lavoro».
            «Già», ammette Euterpe, «una lunga carriera cinematografica. E di teatro ne ha fatto mai?»
            «Quindici, sedici anni fa... due... no... tre... tre tournée europee. Sempre con la stessa pièce: l’Apocalisse di Menna».
            «Conoscevo quello di Giovanni».
            «Eh...? Ah... no, no... Menna, il regista e sceneggiatore che poi mi ha diretto anche in molte puntate di Don Matteo».
            «E... anche lí, lei...»
            «Facevo la parte del cattivo, certo. È una vita che studio ogni sfumatura psicologica del male. Ma cosa fa, capitàno, prende nota?»
            «Tutto serve, quando si indaga seriamente. Scusi Mastrangelo... potrebbe ridirmi i titoli di prima...»
            «Che c’entra questo con il nostro rapporto: non le ho già assicurato che le minacce provengono da fuori del mio ambiente lavorativo?»
            «Deformazione professionale e puntigliosità. Mi perdoni».
«Vabbè. Dunque ripetiamo: tre episodi di R.I.S., cinque di Distretto di Polizia, due di Derrick, quattro di Don Matteo e addirittura un bel ruolo in una puntata di Colombo, nell’Ottantasei... e non mi dica che conosceva solo Cristoforo».
            «No, solo le tre caravelle. Non era un po’ piccolino, lei, nell’Ottantasei?»
            «Dodici anni appena compiuti», constata posando la tazzina, «ma già ammazzavo in grande stile: ero il figlio psicopatico di un conoscente d’origine italiana di Peter Falk, che appare solo negli ultimi minuti... nessuno lo aveva sospettato, ma era stato lui a sgozzare la amante del padre e a bruciarne il cadavere».
            «Un lavoretto fino fino eh... ma lui chi?»
            «Lui Isidor, il bambino pazzo, cioè io, no?»
            «Seguo male le trame delle pellicole... sa... non vado al cinema dal Quarantanove».
«Dopo, quando divenni maggiorenne, in America, se serviva uno squilibrato, un torturatore, un bullo o anche un truffatore italiano, i responsabili del casting chiamavano me. Be’... perché non si fa dare da Carlo l’elenco completo e dettagliato dei miei lavori, con le datazioni esatte?»
            «Carlo... intende quel distinto signore che l’altroieri mi ha contattato per suo conto?»
            «Quel signore» annuisce l’attore «è il mio agente e la mia fortuna in carne e ossa: mi scoprí nell’Ottantasei e ancora oggi cura i miei rapporti con registi, produttori e mass media. È anche addetto allo smistamento della posta, farneticazioni dei fan comprese. Gliele avrà consegnate le tre lettere minatorie, no? E deve aver anche aggiunto che questa faccenda va tenuta del tutto riservata, altrimenti non la pago».
            «Ovvio... e sí, certo, ce le ho le lettere».
            «Le ha studiate?»
            «Come, lei, che ha impersonato delinquenti di ogni tipo, ancora non sa che dalle lettere cosí, in genere, non si ricava alcun indizio? Non le ha mai spedite, lei?»
            «Solo una volta a Detroit, ma finii sulla sedia elettrica proprio per via dell’esame calligrafico».
            «Condoglianze per il personaggio e buffetto di correzione allo sceneggiatore da parte mia. Però perizia si chiama, non esame calligrafico. E tornando a noi: questa scrittura non le ricorda nessuno?»
            «Di a me noto, assolutamente no».
            «Allora vediamo di tirarne fuori qualcosina. L’autore delle tre lettere usa regolarmente il corsivo ed è uno solo, non ci piove. La terza lettera le è giunta l’altroieri e le comunica con... con salda e direi temibile fermezza che lei non arriverà vivo al suo quarantatreesimo compleanno... ovvero fra sedici giorni esatti. Non saprebbe dirmi, dopo averci pensato bene, chi conosce questa data, signor Mastrangelo?»
            «Su Wikipedia l’ho fatta scrivere sbagliata apposta per evitare scocciature. Ma anche cosí la sapranno almeno... bah... duecento persone, immagino».
            «E non sarà lo scherzo grottesco di un qualche suo amico o conoscente?»
            «Lo escludo».
            «Perché?»
            «Gli amici, Santonastasio, non chiamano al cellulare da numero irrintracciabile dicendoti che faresti meglio ad andare, subito, da un notaio a registrare il testamento...» si gratta la nuca «...come è successo mezz’ora fa mentre venivo in macchina qui a Trieste».
            «Due domande banali: chi possiede il suo numero di cellulare e cosa vuole da lei l’ass... ehm... il persecutore per rinunciare al suo disegno. Avrà un qualche fine, no? Mica lo farà per svagarsi».
            «Purtroppo il numero di questo apparecchio è sull’agendina di almeno cento persone. E niente richieste di denaro o di altro: ’sto matto vuole solo accopparmi e punto. Mi odia, gli sto sul...»
            «Capíto, capíto. Allora, senza perdere un minuto di piú, denunci la cosa ai colleghi di Venezia – lei vive lí vero? – e si faccia assegnare una scorta fissa, meglio se in borghese e discretissima, e il controllo continuativo ed automatico di tutti i recapiti telefonici. Intanto io proseguo le indagini e se serve confermo ai colleghi la sua vicenda. Ma chi ce l’ha con lei, Mastrangelo? Possibile che non ne abbia almeno una minuscola idea...»
            «Solo... una...» e interrompendosi si alza di scatto finalmente agitato «... no, no, lasciamo perdere... non ci posso credere... inoltre la voce, anche se alterata, era maschile».
            «Se non lo dice a me almeno lo dica ai carabinieri. La cosa è seria».
            L’attore si risiede: «D’accordo, senta...»

 

Due

 
«...cosí» conclude Mastrangelo «mi ha giurato di farmela pagare. Scusi se l’ho tirata un po’ per le lunghe».
            Al suo terzo bicchierino di grappa nepalese, Santonastasio inchioda l’occhio sul pendolo della sala, impassibile testimone di quella mezz’ora passata ad ascoltare la rievocazione – a partire dal principio, fidanzamento compreso – di un matrimonio decisamente finito male. Molto male. Sta a dire con scenate continue, schiaffi e urla, per raggiungere l’apice di un abbandono definitivo del tetto coniugale da parte di lei, inferocita per delle corna che indubbiamente il marito le aveva piazzato ben salde in testa svariate volte. Il tutto conclusosi da poco meno di un anno con reciproche querele per lesioni personali e maltrattamenti ‘‘realissimi per entrambi’’, come precisato dall’attore.
            «Ora, se sua moglie, come ipotizza lei, stesse brigando con il suo amante, quel Bruno, per ucciderla ed ereditare la casa, le proprietà e il conto bancario, credo che non lo farebbe annunciandoglielo prima. Pertanto la depennerei dalla lista dei nemici».
            «Ecco, immaginavo questo commento. Cosí posso permettermi di dirle che secondo me si tratta invece di una strategia... estremamente raffinata... per eludere i sospetti ed eliminarmi alla fine di una bella, lunga agonia».
            «Al momento, qui, abbiamo in mano solo tre lettere e una telefonata... che oltretutto la spinge a far testamento... cosa di certo sfavorevole a sua moglie».
            «Lei Santonastasio, cosí ragionando, oltre a dimostrare, come è ovvio, di non conoscere affatto né quella donna né la mentalità femminile in fatto di intrighi e vendette, sta perdipiú seguendo perfettamente il piano di Emanuela: lei, sapendo di essere la prima indiziata, ha messo tutto in conto fin dall’inizio, capisce? Sa di essere nella lista nera e che, perciò, sarà presto interrogata e magari seguíta dai carabinieri. E sa che per legge non potrò toglierle l’intera eredità neanche assumendo l’intero Foro di Venezia. Cosí lascerà passare del tempo, poi entrerà in azione, oppure... oppure, meglio ancora, ha assoldato un sicario che sta gestendo da solo l’intero progetto. A cose fatte, utilizzando transazioni bancarie internazionali e istituti di credito presenti nei paradisi fiscali, lei gli devolverà una buona percentuale dell’incasso. Io un lavoro cosí non lo farei per meno di centomila euro, tranne che in un film del genere Franco e Ciccio, ovviamente, ma non ne faccio. Ecco... un sistema semplice ma ingegnoso e soprattutto sicuro: esternalizzazione del processo produttivo, si direbbe oggi». Ridacchia soddisfatto della metafora finanziaria e si versa altro caffè, ormai freddo.
            «Mh. Mi faccia capire: il sicario, lei sostiene, starebbe eseguendo in tutta autonomia un piano concordato con sua moglie e i due non si contatteranno mai, pertanto evitando di fornirci prova alcuna».
            «Esatto. Fa tutto il killer: prima, per far godere quella sadica, mi terrorizza, poi, ad acque calme, mi accoppa in qualche modo pulitissimo... magari con un incidente automobilistico opportunamente indotto, o incaricando del lavoro qualche rapinatore extracomunitario. Cosí la cara Emanuela, finalmente felice del suo maritino, eredita a dir poco un paio di milioni di euro in terre, titoli e beni immobili. Non mi pare roba da fantacriminologia, Santonastasio».
            «Verificherò... e verificheranno i colleghi veneziani».
            «Non insista, la prego. La faccenda deve restare fra noi. Se mando i carabinieri a interrogare Emanuela ottengo solo due cose: le dò la soddisfazione che cerca e non risolvo una mazza uguale, perché tanto il piano è in corso e niente potrà fermarlo, nemmeno un ripensamento di Emanuela stessa, che deve aver tagliato definitivamente ogni rapporto con quel professionista del crimine, se non è fessa. Faceva l’attrice anche lei, lo sapeva? Ed ha i nervi d’acciaio... una mina vagante fredda, calcolatrice, spietata, avida... e di buona memoria. Si ricorderà di sicuro che mi mossi anch’io all’incirca cosí quando volevo cancellare mia moglie, una ricca ed ingenua ereditiera tedesca, in un lungometraggio di Argento nel Novantasette. Però venni incastrato perché il killer alle mie dipendenze mi presentò il conto e io andai di persona a consegnargli il dovuto in biglietti di piccolo taglio usati, come al solito. Bella scena: entro in una fabbrica di saponette ottocentesca, tutta fatta di mattoncini aranciobruni lisi come vecchie spugne: una roba mastodontica dismessa da mezzo secolo che stava in piedi per miracolo. Dunque io ci entro con il borsone di pelle in mano – dentro ci sono centomila dollari – e si accendono i riflettori della polizia. Un momento topico. Niente da invidiare al finale del Padrino sulla scalinata del teatro siciliano. Fotografia eccezionale. Montaggio di classe. Musica dei Goblin arrangiata da Simonetti Iunior con quintetto da camera e clavicembalo ben temperato, suonato dal maestro stesso. Be’: Emanuela quel film lo ha visto insieme a me all’anteprima stampa... se si tradisce cosí fa una brutta figura prima di tutto ai miei occhi. Ed io la faccio ai suoi se la denuncio».
            «Allora lasciamo perdere i carabinieri, va bene. Però io non potrò farle da scorta... ce lo vede uno di settantasette anni nei panni dell’angelo custode? Cosí resterà in balia degli eventi. Ne è sicuro?»
            «A render pubblico il tutto, professionalmente ci rimetterei... è come se dichiarassi ufficialmente la mia debolezza... pauroso come una fanciulletta, Mastrangelo: guardalo che arriva con i carabinieri... e ora che, per la crisi, i contratti scarseggiano e spesso manco vengono onorati... ho pure due cause in corso con un’unica produzione. Tivvú e giornali in questi guai ci sguazzerebbero e sarebbe controproducente in tribunale».
            «Dunque esiste anche qualcun altro a cui è molto antipatico Toni Mastrangelo».
            «Un produttore che mi ammazzerebbe per non pagarmi dieci, quindicimila euro? Allora dovrei esser defunto da un pezzo. Questa nel nostro ambiente è ordinaria amministrazione». Sorride.
«Possiede almeno delle guardie del corpo, dei sistemi di sicurezza in casa e un’arma personale?»
            «Certo, da quando, dieci anni fa, mi spararono in strada incrinandomi il pèrone destro. Si trattava di un paio di mafiosetti da quattro soldi, dei disperati imbecilli che volevano ricattarmi non si sa come né con quali informazioni... ah, ecco, ricordo: si erano inventati delle foto porno truccate e pretendevano di passarle ai giornali se non avessi pagato una cifra astronomica. Che deficienti. Li ho rintracciati subito e certi miei buoni amici li hanno gonfiati a domicilio con gli interessi. Spariti dopo un paio di settimane d’ospedale. Be’, oggi ho due calibro trentotto automatiche regolarmente denunciate e sempre cariche, una che porto con me e l’altra in camera da letto, tremila euro al mese di spese per due gorilla fissi, le videocamere anche nel cesso e tutte le auto blindate. Ma lei Santonastasio si sbrighi a darmi buone notizie, ché in queste condizioni presto non riuscirò piú a lavorare... rischio che i registi si stufino delle mie bizze... ingiustificate. Ci vuol poco ad uscire dal giro... ed io ho appena rifiutato una buona comparsata su Rai Uno nello spettacolo della domenica pomeriggio. Ho i nervi a fior di pelle, non me la sentivo di affrontare la diretta... e in fondo, ancora per qualche mese, ho da girare sul set. Però c’è sempre chi prenderebbe il mio posto volentieri e subito: il cinema mica è un impiego statale... si può saltare da un momento all’altro... cadono teste ogni giorno, qui. Ah dimenticavo: la riservatezza vale anche per i suoi collaboratori, capitàno».
            «Quali, gli impiegati dell’INPS che mi spediscono la pensione ogni mese?»
            «Io le pago il compenso che mi ha chiesto. Veda lei. Solo sia rapido e... se incontra mia moglie sfoderi pure tutto il savoir faire e l’intelligenza che mi hanno spinto ad assoldarla, Santonastasio. Ergo: noi di lei non abbiamo mai parlato».

mercoledì 10 settembre 2014

IL BERSAGLIO di SERGIO SOZI da domani a puntate sul nostro Blog e sul sito dell'Agenzia

Da domani giovedì 11 settembre pubblicheremo a puntate sul nostro sito www.tempirregolari.com  – nella pagina del Blog –  e su questo BLOG il racconto IL BERSAGLIO di SERGIO SOZI.
Il racconto fa parte di un ampio ciclo dedicato a EUTERPE SANTONASASIO di cui i primi sette pubblicati con il titoli Il maniaco e altri racconti da Valter Casini Editore, Roma 2006. Il racconto eponimo di quella raccolta fu segnalato nel 2002 dal Premio Trieste Scritture di Frontiera.
Così faceva allora il suo ingresso il capitano della Benemerita Euterpe Santonastasio:
Qualcuno gli avrebbe dato una medaglia, in altri tempi. Ne era convinto, il capitanone impomatato della Compagnia Trieste II. Poi, Euterpe Santonastasio, non è che usasse tanta gelatina, a dir la verità: era una questione di splendore naturale, riverberantesi da ogni pelo nero sulla ''clientela'' di quell'affollato distretto. Così, oltre al nome sbagliato, il povero Benemerito aveva anche una fama immeritata, quella di ''cicalone'', ovvero ''sciccoso'' e ''fotogenicofilo''.
Quella prima raccolta fu accolta molto bene da lettori e critica di cui, in aggiunta a quelle già pubblicate nella scheda autore e nei precedenti articoli riportiamo, le seguenti che bene inquadrano la figura del protagonista.
''La surrealtà non è la cristallizzazione inquietante di un sogno, ma è la surrealtà del comico, il comico d'autore, e le ascendenze sono altissime. A quelle citate in copertina (Gadda, Landolfi, Pennac) aggiungerei Sterne e, scendendo verso di noi, perché no? certi strepitosi associazionismi di Bergonzoni e il Totò piú pirotecnico. Ne Il maniaco i dialettismi si illuminano nella contrapposizione agli aulicismi ironici, non vengono usati, quindi, per processi mimetici onde 'inverare' la finzione narrativa, non ce n'è necessità, in pratica anch'essi rispondono alle istanze comiche.''
Attilio Del Giudice, Opera Narrativa.com
''Protagonista del libro, il capitano Euterpe Santonastasio, sessantenne siciliano con la passione per i classici, si trova a dover districare assurdi casi irrisolvibili (...) che si aggrovigliano sulla pagina scandendo il ritmo di una narrazione sempre tesa e mai banale. Una narrazione che si avvale delle solide fondamenta di una scrittura raffinata e al tempo stesso accattivante, frutto di una attenta ricerca linguistica che porta l'autore a mescolare con sapienza l'aulico con il grottesco, a creare neologismi, a permettersi incursioni nei dialetti, il tutto senza mai risultare pedante.''
Valentina Ferraro, Quotidiano della Sera
 ''Al centro dei racconti troneggia la figura di Euterpe Santonastasio, il quale si ritrova a dover districare casi polizieschi al limite del reale (...). Niente stragi e spargimento di sangue, né violenze sessuali. Sozi gioca con una scrittura plurilinguistica amalgamando triestino, siciliano, romano e neologismi, ottenendo risultati efficacissimi. E si rivela ironico, brillante, mai scontato, lontano da un certo manierismo edulcorato. (...) Assurdo e grottesco si assemblano in una continua ricerca che rende pirotecnici i personaggi inventati, sí da far considerare l'impianto poliziesco semplice artificio letterario ad uso e consumo della materia narrata.''
Salvo Zappulla, La Sicilia
Ma negli anni, Santonastasio di avventure ne ha vissute altre, in compagnia dei suoi due insoliti aiutanti, uno dei quali conosceremo il questo racconto INEDITO, un assaggio dello stile di Sergio Sozi. Come abbiamo detto infatti un intero ciclo di racconti di Santonastasio è terminato e pronto per la pubblicazione.
I diritti delle opere di Sergio Sozi sono gestiti da Tempi Irregolari.