giovedì 18 settembre 2014

IL BERSAGLIO di SERGIO SOZI parte seconda

Qui di seguito pubblichiamo il terzo e quarto capitolo del racconto inedito di Sergio Sozi. Il finale con la soluzione sarà on line la prossima settimana, per chi non avesse, nel frattempo, scoperto il colpevole. Buona lettura! 

Tre


Sparito l’attore, Santonastasio non tarda a rivolgersi ad Euterpe III, quello dei suoi due gemelli interiori che meglio si addossi i pensieri d’ordine strettamente sbirresco.
            «Secondo me...» conclude costui mentre il capitàno, in salotto, si scola l’ennesimo bicchierino di grappa nepalese «...qui di piste ce ne sono svariate: la prima, vabbè, è la moglie Emanuela che fa tutt’uno con l’amante Bruno (notare la rima); la seconda l’azienda di produzione cinematografica con la quale Mastrangelo è ai ferri corti in tribunale e la terza i mafiosetti che gli spararono anni or sono e che sicuramente non han dimenticato le botte ritirate al posto del liquido (se non consideriamo il pus). E anche una quarta: i suoi colleghi che, stiamone certi, farebbero salti di gioia a spedirlo prima fuori dal giro e poi magari drittodritto in braccio al Creatore. Gli fanno andare in tilt i gangli, lui si autoisola, respinge i contratti, arriva la depressione insieme alle solite droghe, si sparge la voce che è inaffidabile... infine la spedizione, via pillole o roba pesante maltagliata, al capolinea Settimo Cielo. Mica poco, eh, capo?»
            «Un corno!» replica Euterpe-Euterpe scocciatello «ma non vedi che stiamo ancora ai blocchi di partenza e privi di qualsiasi affidabile indizio?»
            «Eccoci alle solite menate: vuoi che ti indichi io come e da dove cominciare la tarantella».
            «Ti mantengo a grappe ed Emmesse maild come un principe, me lo dovresti, no?»
            «Brutto non potersi separare. Per le identità multiple nessuno ha ancora pensato ad applicare il diritto civile. Ah, stessimo in America...»
            «Civile... tu civile, Terzo! Dài, piantala e dammi il la».
            «E che, so’ un diapason?»
            «No, sei solo suonato».
         «Specularmente parlando concordo a pieno, capo delle mie ciabatte. Ma ora... mh... dàmmi retta: inizia le indagini vedendo se ne sa qualcosa Gaetano Barresi».
            «Tano... ne son trascorsi di anni ormai... be’, perché no. Spero non sia morto di cirrosi. Domattina lo chiamo».


«Toni Mastrangelo? Proprio quello, l’attore, mi ha detto, capita’?» chiede senza nascondere una via di mezzo fra distrazione e curiosità Gaetano Barresi, mentre continua a tener d’occhio la canna da pesca sul molo, per niente affollato vista l’ora ancora distante dal pranzo e considerato il mese, un lavorativissimo gennaio in cui, nonostante il cielo limpido, i triestini ben poco si accorgono che la città sta sul mare; poi «posso informarmi senza probblemi» prosegue col sempre marcato accento romano, «ma si dice da anni che Mastrangelo sia uno un po’ esagerato... esagerato in tutto...» e si interrompe per dare una strattonata alla lenza.
            «E dài a fare l’oracolo di Delfi», rimanda il Nostro, sornione, accendendosi una sigaretta. «Il tuo consueto modo per chiedere quanto pago per approfondire il discorso. Pago, pago, tranquillo». E gli fa scivolare nella tasca del giubbotto una bella banconota di quelle marroncine con scritto cinquanta. «Altre cinque uguali a lavoro compiuto, piú rimborso spese. Adesso prosegui, poi entro un paio di giorni mi mandi il papier. Non per posta elettronica... non provarci o chiudo il rapporto: consegna a domicilio nella buca delle lettere come un tempo, chiaro? Metodo sperimentato e sicuro».
            «Contento lei capitàno... ecco, Mastrangelo a Cinecittà ha fama di nevrastenico. Lo sono un po’ tutti i miei ex colleghi der cinema, però... be’ finora, grazie all’agente, che è uno molto ben piazzato, ha lavorato tanto, ma... correva voce...» ed estrae una corpulenta fiaschetta dalla saccoccia interna.
            «Che, sei passato ai super
            «Niente piú benzina da cinque anni, capitàno... è che stando qui a pescare tutto il giorno mi viene sete e non mi va di farmi spennare dai caffè delle Rive. Cosí mi porto dietro acqua e limone, come gli scout».
            «Fesso. Dài, prosegui: corre voce che...»
            «Un attimo...» lo interrompe l’uomo, che ripone la fiaschetta nella stessa tasca, estrae dall’altra un thermos odoroso di caffè e se ne versa in gola un paio di sorsi. Poi si allontana con un cellulare in mano per qualche minuto e di ritorno: «...dicevo che Mastrangelo s’è bruciato il cervello a suon di coca, alcool e incontri strani. Lui sí, che va con i super... tutto super: una separazione dalla moglie che fra poco, con la sentenza definitiva del tribunale di Venezia, diventerà un superdivorzio, visto che lei gli ha chiesto mezzo milione di euro all’anno di alimenti e lui gliene ha dovuti concedere trecentomila per avere almeno una piccola speranza di chiudere la causa. E ancora: supercoinvolto con la ’ndrangheta del suo paesello natale giú in Calabria, che se non lo avessero spinto quelli, lui la carriera se la sarebbe sognata... e... e supergiocatore... ha delle ipoteche, si mormora. Troppe. Eccetera eccetera. Il séguito, Santonastasio, glielo scrivo dopodomani a mezzogiorno con le virgole e i puntini al posto giusto».
            «Bravo: quando metti nero su bianco, niente sentito dire, solo fatti veri e accertati. Però attenzione: devi tener presente anche la moglie. Sai come reperirne i dati? La puoi rintracciare? Ah, non ne dubitavo. Adesso toglimi una curiosità: ma come fai, dopo vent’anni che non reciti piú a teatro e dieci che sei uscito dai Servizi, a saperne ancora come una... di quelle d’alto bordo?»
            «Sono un morto de fame. I pezzenti, nell’ambiente artistico d’ogni tempo, suscitano simpatia e solidarietà. Inoltre, poiché grazie alla crisi ormai semo in tanti, ce se dà ’na mano a vicenda. Per esempio due de quei suoi bbiglietti marroni io so già a chi li devo passare. Il resto va per mi’ moglie, come ar solito». E con mossa fulminea da tennista, l’ultrasettantenne Gaetano Barresi estrae dal triestin Adriatico un branzino che peserà di sicuro almeno quanto l’intero suo braccio destro.


«Motore... ciàc... azione!»
            La voce di un regista nell’impartire gli ordini di prammatica non è cambiata, dopo oltre cento anni di pellicole: sempre vagamente liturgica e un po’ irritante per la troupe. E neanche uno scenario di guerra del 2015 differisce da uno analogo della ’15-’18, se proprio si desidera ricostruirlo: trincee con cavalli di frisia, sacchetti di sabbia, baracchette per i cecchini, fossati fangosi... e un sonoro che raramente parte senza botti. Proprio come adesso. Appena avviate le telecamere digitali il teatro dell’azione, posto al centro per poter essere inquadrato contemporaneamente da diverse angolature, prende a pullulare di frenetici soldati che, rivestiti di sporche e rozze uniformi grigioverdi, strisciano come lucertole gettando oltre il filo spinato bombe a mano simili a giganteschi funghi e collane di fucilate assortite con obici a piú dimensioni, fra cupi rimbombi di esplosioni, fischi di proiettili e imprecazioni di commilitoni e superiori, agitati o feriti. Evidentemente il momento del conflitto non dev’essere dei migliori per chi sta da questa parte della barricata.
            «Ecco, adesso: entra, Toni!» fa l’Aiuto-regista sottovoce dandogli un’amichevole spintarella. Mastrangelo, con indosso una mimetica da sottotenente dell’esercito italiano opportunamente maltrattata e lorda di mota marrocina, si butta carponi un paio di metri a destra dell’obiettivo della Numero Tre, estrae fulmineamente una grossa Luger e, a bruciapelo, scarica due colpi sulla schiena di un tenente che gli sta a fianco. Poi si guarda attorno e, verificato di esser solo – gli altri sono distanti ed occupati a respingere l’assalto avversario, il cielo è coperto di nuvole – scava in fretta una buca e vi seppellisce la rivoltella, ghigna soddisfatto e continua il percorso camminando accucciato verso una postazione coperta, presente a poca distanza. La Numero Tre lo segue in soggettiva mentre entra nel modesto ambiente: vi sono tre soldati in linea, intenti a sparare da altrettante feritoie. Quello di sinistra si volta amichevolmente verso Mastrangelo: «Ah è qui, signor sottotenente...» ma questi ricambia la cortesia piazzandogli una pallottola in testa, stavolta grazie a una Beretta che immediatamente rivolge agli altri due, abbattendoli senza dire una parola. Toni non suda neanche, registra la Numero Uno: con una paletta metallica scava in un angolo del polveroso pavimento e in breve ne estrae un involto contenente una divisa da fante austriaco che egli indossa, riponendo quella italiana nello stesso luogo. Una volta copertala di terriccio, con rapida accuratezza esce, si arrampica sul fianco del fosso che dà sull’esterno, scansa un grosso sacco di rena e chiatton chiattone prende a dirigersi verso il fronte nemico, quando una forte deflagrazione gli succhia d’un tratto il sangue freddo sino all’ultima goccia: «Ma porca... stop! Ho detto STOP!!» urla.
            L’ordine viene ripetuto dal regista. Un improvviso silenzio cala sul set.
            «Che ti piglia adesso?!» lo investe stizzito l’Aiuto.
            «Come che mi... boia della miseria!!»


«Ho mascherato la cosa con un malessere improvviso ma quella, mi creda, era una granata vera. Vera, capisce? Fossi stato tre metri piú a destra mi avrebbe preso in pieno. L’onda d’urto mi ha tirato via il berretto e scompigliato i capelli. E vedesse la buca! Meno male che non se n’è accorto nessuno perché tirava vento – siamo sul Carso, – gli effetti speciali sono ad alto volume, il cameraman era distante e inoltre la scena è disseminata di fosse finte... una piú, una meno...»
            «Accipicchia...» non riesce a commentare diversamente Santonastasio all’altro capo del filo «...e quanti giorni mancano al suo compleanno... tredici, già. Dunque hanno fretta di concludere il discorso con... largo anticipo. E magari questo significa anche che se riusciamo a superare indenni la sua festa l’assass... ehm il persecutore le darà partita vinta e la lascerà in pace».
            «Se è mia moglie, non ci credo affatto. Mi vuole stecchito. Quando che sia».
«Un attimo. Alla luce di questa bomba non è da escludere – anzi adesso è probabile – che la gamma delle tipologie sia la seguente: uno psicopatico che vuole sfidare i nervi del divo; qualcuno che cova vecchi rancori; o qualche malato di invidia fra il personale. Le mie ricerche insomma dovranno indirizzarsi per forza lí, sul suo attuale set. Ma suppongo ci giri tanta gente, no? Perciò il nostro amico, ancora coperto dall’anonimato, ci riproverà senz’altro e ben presto. Ora, Mastrangelo, mi faccia avere quanto prima un elenco completo del personale presente sul Carso e dei visitatori d’ogni tipo, inclusi quelli che ci sono capitati solo cinque minuti: scenografi e relativi assistenti, scavatori, manovali, fornitori di armi di scena, attrezzisti, facchini, amici amanti e conoscenti con o senza passi... persino il nome dell’agente della compagnia assicurativa... insomma tutti tutti, chiaro? Dal truccatore al sorvegliante notturno. Voglio una lista piú dettagliata dei titoli di coda. Poi... senta... lei vuole proprio continuare a girare?»
            «Proseguo fino all’ultimo ciàc, certo, mica posso interrompere il film a metà... una coproduzione italoamericana ad alto budget! Una parte deliziosa di coprotagonista in una storia ispirata ad una vicenda realmente accaduta nel 1917: i due efferati traditori Giacomo Prampolelli – impersonato da me – ed Eugenio Pesci, che riuscirono a sabotare l’esercito italiano e a salvare la pelle a Vienna, dove, sotto falso nome, divennero ricchi per morire infine nel proprio letto in età avanzata, circondati dall’affetto familiare. Negatività pura. Roba da Oscar. Poi guardi, Santonastasio: se mi tiro indietro dovrei pagare una grossa penale e inoltre, al momento, non dispongo di altri contratti. Potrò solo farmi accompagnare sul set dai miei due scimpanzè: sono tipi svegli di cervello... stavano nelle teste di cuoio francesi».
            «Ma cosí desterà sospetti... un attore che a gennaio si fa scortare sulla scena in mezzo al Carso piú che mai deserto...»
            «Alternative?»
            «Mh. Il regista è americano?»
            «Nato a Los Angeles da genitori italiani».
«Allora sarà abituato ai tipi stravaganti. Gli dica che ha bisogno dei suoi... camerieri personali che le devono servire una dose di whiskey ogni fine scena».
«Il cordiale me lo passa già adesso in abbondanza l’Aiuto-regista... sa... qui siamo durante la prima guerra mondiale...»
«Siringa di robba personalizzata?»
«Ehm... self service».
«Ma lei, perdinci, è nato nel vaso di Pandora! Insomma trovi una scusa qualsiasi per non farsi fare la pelle mentre lavora. Intanto io vedrò di accelerare i tempi. Un fidato informatore mi ha appena consegnato un rapportino da cui sto deducendo parecchie cose utili, che momentaneamente non riferisco per evitare che le sfuggano di bocca in qualche momento di... sogno ad occhi aperti... ci siamo capiti. Intanto mi tenga aggiornato: la richiamo io domani verso le ventuno, d’accordo?»
«Ottimo, a quell’ora, se non già deceduto, sarò libero di sicuro».
«Tocchiamo ferro».
«Ferro un c...»
Abbassato il ricevitore, Santonastasio rifiuta con decisa cortesia la consulenza offerta da Euterpe III e dissigilla la cartella giallo ocra, appena estratta dalla cassetta delle lettere:

Caro capitàno, si ricorda nei dettagli il nostro colloquio dell’altroieri sul molo? Eh no, sarà difficile che, anche un intellettualone come lei, possa rammentare ogni particolare di quel dialogo peschereccio. Ebbene...


Quattro


...le avevo accennato agli incontri strani del nostro soggetto – scrive l`informatore –. Ecco, mi sono chiarito le idee: in realtà sono peggio che strani. L’attore ha a che fare con una setta satanica, una fra le piú pulite, o quasi, cioè dedita a orge selvagge legali, con droghe (queste meno legali) ma senza sangue né violenza... eppure molto pericolosa, a giudicare dalle idee malvagie che la guidano. Questo, Santonastasio, glielo posso scrivere con sicurezza perché son riuscito a procurarmi un testo, una specie di preghiera diabolica vergata di propria mano dal soggetto stesso e da lui firmata insieme ad un altro tizio, di cui le dirò piú sotto. La allego senza, purtroppo, per ovvia delicatezza e tutela delle fonti, poter precisare le modalità in cui ne sono venuto in possesso. Per venire alle altre scoperte, eccogliele elencate di seguito:
1) Telefonando a un mio vecchio amico che fa il figurante da una vita, ho scoperto che adesso lavora sul Carso proprio nel film di Mastrangelo, dunque ieri lo sono andato a trovare in loco. Ecco. Era un momento di pausa e, tra le maestranze occupate a consumare i cestini-pranzo, non mi è sfuggita un’altra presenza: quella di Franco Lumia, un maturo sarto di scena siciliano che, diversamente da me, è riuscito a passare dal palcoscenico al set. Ho finto di non vederlo ma so che mi ha notato. E so anche che era un fanatico religioso, di quelli cattolici ortodossi che rasentano l’integralismo. È lui l’addetto agli abiti di Mastrangelo, insomma lo veste riveste e spoglia a ogni cambio di scena. Visto il vizietto di Toni, sarà lecito considerare quei due come il Diavolo e l’Acqua Santa: che tipo di convivenza avranno instaurato? Un ménage non privo di attriti cioè di rischi per il Nostro... e niente di meno per l’altro. Ma qui il perseguitato è il Diavolo, non l’Angelo.
2) La signora Emanuela Dessí, entro breve (tredici giorni esatti se la sentenza di divorzio verrà emessa puntualmente) ex coniuge del Mastrangelo, non è tipo che cerchi di nascondersi. Tutt’altro: è limpida come il Po a Pian del Re. E non ha amanti. Nessuno, benché a trentacinque anni e munita com’è di bella presenza potrebbe permettersene piú di uno. Invece vive da sola a Trieste mantenendosi con un dignitoso lavoro saltuario di doppiatrice a Roma e qualche particina in film d’essai; dunque non naviga nel denaro ma non se ne lamenta affatto. Inoltre le voci sugli alimenti principeschi erano del tutto false e immagino da chi messe in giro: in verità lei gli ha chiesto trentamila euro l’anno (ho letto il verbale) che l’avvocato di lui è riuscito a portare a ventimila scarsi! Se lo accoppasse sul serio (il marito non l’avvocato) il mondo non ci perderebbe, ma quella donna è troppo seria per – dopo essersi abbassata a sposare Mastrangelo – abbassarsi di nuovo ad usare mezzucci simili per ripicca o interesse economico.
3) Riassuntino di altre notiziole utili ad indirizzare l’indagine:
La ABL Cinematografica, azienda di produzione italiana del film insieme ad altre due statunitensi, è piena di debiti. Nonostante questo ha sottoposto un contratto da ottocentomila euro a Mastrangelo (duecentomila in anticipo, il resto a lavorazione ultimata). L’altro protagonista della pellicola, un italoamericano alquanto noto negli USA, ne prenderà solo la metà. Motivo del trattamento privilegiato: Toni incontra il presidente della ABL, Lucio Neri Bossi (è lui il cofirmatario della preghiera luciferina), nelle riunioni orgiastico-magiche della anzimenzionata setta – sta a significare che molto probabilmente l’attore lo ricatta, perché Bossi è sposato con prole. Fatto sta che le ipoteche di Mastrangelo (ben quattro e grosse) sono state sciolte, qualche giorno fa, grazie a una serie di versamenti effettuati dall’attore stesso stranamente nelle medesime date di una serie di esborsi registrati come ‘‘straordinari’’ dall’ufficio contabilità della ABL. A sommare il compenso professionale e questi extra bonus si ottiene, guarda caso, il totale delle ipoteche del nostro divo.

Ed è tutto. In una busta a parte, troverà qualche numero di telefono per proseguire da solo. Se servisse altro non faccia complimenti, sor capitàno: come sempre sarà mio punto d’onore riuscire a farle risolvere il caso quasi senza dover uscire di casa.

Suo aff.mo
Gaetano Barresi

Cosí stando le cose – medita Santonastasio richiudendo la cartella – la lista dei nomi che ho chiesto a Mastrangelo diventa del tutto inutile... o meglio... un attimo... quell’elenco di persone presenti sul set carsico servirà a coprire il mio vero pensiero agli occhi di questo attore un po’ troppo losco per i miei gusti. Continuando davanti a lui a concentrare le mie indagini sui suoi colleghi e sulla moglie, non gli farò sospettare minimamente che invece ho appena messo sotto i raggi x lui e il suo compagnuccio di merende Lucio Neri Bossi. Perché è evidente: escludendo il sarto cattointegralista – per quanto invasato sia, mi sembra eccessivo considerarlo un assassino – ed eliminando anche la pista della ’ndrangheta, visto che Mastrangelo o ne è membro o ne è un caro amico, le ipotesi che stanno in piedi restano... mah... diciamo in primis una: l’attentatore è Bossi, il quale, prima di ucciderlo, sta cercando di recuperare da Mastrangelo i soldi che ha dovuto versargli finora per pagarne il silenzio sulla setta satanica – dunque, se fosse cosí, Toni mi starebbe nascondendo una richiesta di denaro fattagli dal suo anonimo persecutore quando lo ha chiamato telefonicamente, e me la sta nascondendo perché non immagina che la preghiera sia il vero motivo della persecuzione, ossia non sospetta del Bossi. E fin qui a considerare diciamo candido l’attore. Però, proseguendo nella stessa ipotesi, eccone un altro risvolto che gli macchierebbe alquanto la coscienza: Mastrangelo, mentre confida in me per scoprire l’identità dell’attentatore, sta approfittando della faccenda per incolpare la moglie – della quale sa l’innocenza – in modo da vincere la causa con lei ed evitare di darle i miseri ventimila euro che le dovrebbe per gli alimenti. Siccome il giorno del suo compleanno è anche quello previsto per l’emissione della sentenza di divorzio, Mastrangelo sta facendo di tutto per dimostrare la colpevolezza della donna entro tale data.
Ma... cosa ho detto? Il compleanno di Mastrangelo coincide con la sentenza, sí, ho detto!
Già. Dunque quella data ora mi dovrebbe sembrare un tantino troppo centrale, anzi... forse... studiata. Vediamola un po’. È importante in tre contesti attinenti: per la causa di divorzio, per l’evidente intenzione di Mastrangelo di strumentalizzarla contro la moglie e... per il persecutore, che l’ha inserita nelle lettere minatorie. Dunque, guarda caso, quella data, nelle lettere, fa combaciare gli interessi del perseguitato con quelli del persecutore.
Da qui ecco sgorgare un’altra ipotesi: la persecuzione e gli attentati sono solo una farsa, il cui autore è Mastrangelo in persona, che vuole condurmi a collegare due nomi ben precisi, avendo l’intenzione di spedirli in prigione in tandem grazie a me: Emanuela e Bossi. Ma, mi chiedo, perché? Emanuela va bene... la odia e non vuole passarle gli alimenti... ma Bossi? Se lo mandasse in galera lo rovinerebbe e non potrebbe piú mungerlo. Non ha senso. Mh. A meno che... certo, dimenticavo la situazione finanziaria del produttore! – grida Santonastasio prendendo a rigirarsi fra le mani la busta contenente la preghiera satanica. E prosegue: – il discorso deve essere cosí impostato: prima che cominciassero le lettere di minaccia, ma dopo la firma del supercontratto per il film e anche dopo gli altri esborsi ‘‘extra’’, Bossi, ormai depauperato, deve avere detto a Mastrangelo: ‘‘Hai visto che contratto coi fiocchi ti ho fatto? Sei contento? Be’ la ABL sta per fallire, dunque, d’ora in avanti, da me non vedrai piú un soldo: divulga pure la nostra preghiera. Provocherai uno scandalo che non finirà piú e ci rovineremo entrambi la carriera. Tanto io, ormai, sono un uomo finito. Anzi guarda: se mi dài ai nervi con altre richieste di denaro, la copia di quella preghiera, che tu sai è nelle mie mani, la rendo pubblica io. Dunque comportati bene, Toni, lasciami in pace, lavora e fa’ il bravo bambino’’. Cosí Mastrangelo, il quale tutto vorrebbe meno che questo (ed oltretutto odia i bravi bambini), mette in atto velocemente la contromossa: inizia ad autominacciarsi ed autoattentarsi e assume me. L’attore, manipolando ben bene le informazioni che sarebbero dovute giungermi all’orecchio, pensava di portarmi a capire il contrario del reale, cioè che era Bossi a ricattare lui per la setta satanica e siccome lui, Toni, non voleva cedere, il produttore aveva preso a minacciarlo e bombardarlo per convincerlo a pagare. Immagino che per rafforzare tali accuse Mastrangelo, in questi giorni, abbia anche iniziato a versare, all’insaputa di Bossi, qualche migliaio di euro sul suo conto corrente bancario. Mh. E sí... diabolico l’obiettivo dell’attore: eliminare il pericolo Bossi, il pericolo sputtanamento, e distruggere l’Emanuela. Dunque questa preghiera compromettente è stato Toni a farla avere a Tano perché giungesse nelle mie mani. Mastrangelo, nel firmare con me il contratto di consulenza investigativa privata, ha veduto bene di inserire un comma che mi impedisce la divulgazione di qualsiasi atto emergente dalle mie indagini che possa esser pregiudizievole per il buon nome del cliente. Insomma Toni sa che non potrò mai esibire questa fottutissima preghiera: nel mio cassetto è piú sicura che nel caveau di una banca. E mentre Bossi finisce dentro per tentata estorsione, tentato omicidio, lesioni, minacce e persecuzione postale, Toni riesce a rubargli l’altra copia della preghiera che evidentemente il produttore deve conservare in qualche parte che lui immagina o sa. Emanuela, anche se presto scagionata, resterà comunque pubblicamente implicata, cioè infangata, in una vicenda di satanismo e probabile ricatto ai danni del marito. Ecco. Brutta robba.
Ma c’è un ma. Se Mastrangelo vuole portarmi a tutto questo, perché non mi ha ancora detto qualcosa tipo: ‘‘Bossi mi sta ricattando per una certa faccenda e secondo me, in combutta con mia moglie, per forzarmi a pagare ha preso a spedirmi lettere minatorie ed ora, a mostrarmi che non scherza, anche bombe vere sul set’’? Ecco... perché, ripeto, non mi ha ancora detto questo, o qualcosa di simile, magari mettendomi personalmente sotto gli occhi questa preghieraccia, il benedetto Mastrangelo?! Forse perché sta fingendo di non essere arrivato a capirlo? Perché è sicuro che ci sto arrivando io? O perché... ma è evidente! Perché dovevo arrivarci da solo: arrivandoci da solo avrei concluso che la vittima era lui, se me ne avesse parlato avrei sospettato che mentisse!
Ma non mi conosce a sufficienza, il guitto. Eh no. In conclusione, d’ora in avanti questo sarà il mio comportamento: bocca cucita e attesa degli sviluppi. Io non ho ricevuto nessuna preghiera satanica e sto perdendomi fra i rivoli dei mille altri individui sospettabili: il sarto, la moglie, i suoi colleghi invidiosi, la ’ndrangheta, eccetera. Insomma prendo tempo. Presto o tardi, se una delle due ipotesi è quella giusta, o Mastrangelo o Bossi uscirà allo scoperto ed io, zitto zitto, potrò coinvolgere i carabinieri di Venezia semplicemente mandando loro in forma anonima, per posta, questa preghiera dei miei cabasisi... meglio se insieme a qualche riga battuta al computer dove faccio nomi, cognomi e numeri telefonici.


Attorno alle undici della mattina successiva a quanto appena visto e sentito, la suoneria del telefono grigiotopo anni Settanta di casa Santonastasio per l’insistenza scatenerebbe un’emicrania doppia e acuta pure a un giovanotto di quelli discotecari che straballa la techno ogni notte.
            «Lo so che eravamo rimasti per sentirci stasera alle ventuno, capitàno», dice l’attore, «ma c’è un cambio di programma».
            «Prego», replica asciutto Euterpe sveglio da poco.
            «Stasera alle nove devo essere a una serata di beneficenza al Teatro La Fenice di Venezia... una rottura tremenda di cui m’ero del tutto dimenticato: orchestra da camera e brani lirici, con ripresa televisiva. Sono stato annunciato e se mancassi convaliderei le voci che già mi dànno per malato di nervi».
            «Allora, come restiamo?»
            «La aggiornerò domattina dal set... lei ha niente da raccontarmi?»
            «Piano piano sto componendo una rosa di sospetti... che sto facendo pedinare o intercettare... ma ancora niente di sicuro. Lei, Mastrangelo, altri messaggi anonimi?»
            «Nella posta di stamattina no. Vado a lavorare quasi tranquillo, mi pare. Arrivederci».
            «Un attimo, non riattacchi: la lista del personale del film... si ricorda... me la faccia mandare entro oggi, mi raccomando».
            «Ah... d’accordo... appena l’ho preparata telefono allo spedizioniere, cosí le arriverà nel pomeriggio, ci conti».
            Mh – pensa Euterpe – neanche se ne ricordava... figurati che importanza può darle. Poi oggi mi sembra sfuggente. Secondo me sottopelle gli premeva la curiosità di sapere se avessi già ricevuto la sua preghiera.


In seconda fila, la poltroncina di velluto rosso numero ventotto attendeva solo lui: l’unica ancora vuota, stretta fra politici annoiati, registi sbuffanti e soubrette dallo sguardo opaco, tutti invariabilmente scontenti della mezz’ora di ritardo con cui il programma sta per avviarsi. Comunque ormai ci siamo: le luci, con la consueta triplice intermittenza, hanno appena dato la mezzasala e il brusio del folto pubblico sta, mano a mano, placandosi. Il teatro, zeppo di spettatori, tecnici e materiali da ripresa, che ne occupano ogni centimetro quadrato, a questo punto non potrebbe ospitare altri che Mastrangelo. Mentre si aprono le due grandi quinte verdi l’uomo accede alla platea: ha dovuto lasciare gli scimpanzè nella hall e la maschera che lo affianca gli sta indicando il posto riservato. Notandone l’entrata nel corridoio centrale, un paio di spettatori accennano un timido applauso, subito represso a gesti dall’attore che guadagna in fretta lo stretto spazio tra le serie di seggi e, scusandosi con i colleghi costretti ad alzarsi, lo percorre fino circa alla metà. Stringe al volo la mano di chi gli sta di lato ed ecco: si è seduto. L’urletto di Toni non viene percepito da nessuno, perché coincide con il sorridente buonasera della presentatrice che, tramite gli altoparlanti, dà il via alla serata musicale – inoltre tutti gli sguardi sono puntati sulla ribalta. Massaggiandosi l’indolenzita natica destra l’attore prende a ispezionare il sedile: prima la superficie superiore poi quella di sotto. In un secondo diventa cadaverico, infilatosi di soppiatto qualcosa in una tasca della giacca scura si leva con decisione, quasi calpestando tutti giunge sotto i palchi, dove imbocca un’uscita laterale e prosegue fino alla caffetteria dell’atrio. Al bancone le sue due guardie del corpo stanno consumando qualcosa d’analcolico e non possono nascondere lo stupore di rivedeselo davanti dopo appena cinque minuti. Toni ne prende una sotto braccio e allontanatosi di qualche metro «Presto, portami al pronto soccorso!» ordina esagitato.


            Attorno alla mezzanotte Mastrangelo è solo in casa: «Capitàno... stavolta...» gli trema la voce e tiene in mano una specie di secchio di gin puro «...quella psicopatica ce l’ha fatta a colpirmi. Una siringa fissata, a punta all’in su, sopra uno sgabelletto nascosto sotto il sedile. Invisibile e micidiale. Con il mio peso ho azionato lo stantuffo. L’hanno subito analizzata in laboratorio e per fortuna conteneva un’innocua mistura di acqua distillata e vitamina B. Mi hanno dimesso. Ma la cosa è trapelata alla stampa... son dovuto scappare agli intervistatori. Ormai è chiaro: la bastarda vuole solo sputtanarmi. Le basta distruggermi la carriera. Quel che rimane di Toni Mastrangelo lo demoliranno la povertà e l’angoscia».
            «Oppure gioca come il gatto col topo: l’ultima unghiata arriva alla fine del divertimento, mai prima. Forse il gatto smetterà di divertirsi il giorno che sappiamo».
            «La gatta. Dio la fulmini. Mai come quest’anno ho avuto voglia di raggiungere il mio compleanno».
            «Dio dice... mh... senta Mastrangelo: non può riuscire a chiudersi in casa per i dodici giorni che restano?»
            «Impossibile. La produzione ha una fretta indiavolata».
            «Indiavolata mo...!»
            «Santonastasio, che si mette a fare l’eco?»
            «Repetita iuvant sed variatio delectat. La smetta con la storia di sua moglie, su».
            «Ha altri candidati? Devo ricordarle che l’ho assunta per svelare questo mistero prima che mi ammazzino, PRIMA sottolineo».
            «Ma chi la ammazza a lei, Toni... figuriamoci!»
            «Non mi piace questo tono: vuole per caso rinunciare all’incarico?»
            «Tanto, per quel che servo... diciamo che se non traggo un ragno dal classico buco entro tre giorni, il quarto lascio l’incarico. Concorda?»
            «Per niente... guardi... mi sto irritando».
            «Diventa pericoloso quando si irrita, lei?»
«Meglio non mettermi alla prova. Sicuramente non faccio il samaritano con uno che pago per salvarmi e invece mi sfrutta e... e magari mi nasconde anche qualcosa. Allora... che le gira in testa, capitàno?»
«Niente di particolare, per adesso». Santonastasio sta per salutare, ma si dà una pacca sulla fronte e prosegue: «...se invece risponderà alla domanda che sto per porle, credo che qualche ingranaggio, forse solo una miserrima rotellina, comincerà finalmente a muovermisi nel cervello... etto... il cervelletto».
            «Dica».
«Quanto la sento freddo stasera, Toni. Allora. Chi conosceva il suo appuntamento alla Fenice e il numero preciso del posto?»
            «Mah... non saprei esattamente... la poltrona me l’ha assegnata di certo qualcuno della produzione Rai che ha affittato il teatro, ma anche il personale di sala ne era certamente a conoscenza. Poi Rosaria, la mia segretaria, come al solito».
            «Nessun altro, ne è proprio sicuro... non ha saltato qualche passaggio?»
            «Ah già...»
            E gli fa un nome.
            «Immagino che sapesse anche qual era la sua esatta posizione sulla scena del film».
            «È verosimile, capitàno. Ma secondo me i suoi sospetti sono assurdi».

            «Assurdità per assurdità... si inventi qualcosa... insomma faccia in modo che venga a casa mia domattina... diciamo a mezzogiorno. Voglio pranzarci insieme».

©Sergio Sozi. Riproduzione vietata.

4 commenti:

  1. Caro Sergio, ho letto la seconda puntata, mi sono divertita per
    la minuzosa ambientazione, per il colorito linguaggio malavitoso
    e per la trama intrigante. Saresti un ottimo Commisario, ora
    aspetto la conclusione a sorpresa. Bravo, bravo il nostro Sergio
    Lo so lo so, i gialli vanno di moda, ma non dimenticare l'eccellenza
    del tuo colto e raffinato stile scritturale.
    Ti abbraccio Tessy

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  2. Grazie di cuore. Qualcuno vuol provarsi ad indovinare il colpevole? Dico solo che NON e' un nuovo personaggio...

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  3. Caro Sergio, ho letto anche la seconda puntata, ma sono ancora lontano dall'individuare il colpevole. Sei davvero bravo nell' "imbrogliare le carte". Attendo, dunque, con ansia la terza e ultima puntata.
    A presto. Sandro

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  4. Sono davvero una carogna, si', pero' qualche supposizione, ad interpretare correttamente le ultime righe... eh...

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