lunedì 22 dicembre 2014

Auguriamo un Buon Natale a tutti con un brano tratto da LA SCUOLA DELLA NOTTE di UGO RAMPAZZO

Pubblichiamo un brano tratto dal capitolo terzo del giallo storico pubblicato da ARKADIA EDITORE:

LA SCUOLA DELLA NOTTE 
di Ugo Rampazzo 
Eclypse 41
ISBN 978-88-68510-23-7
Formato cm 14x21
Pagine 128

Primo titolo di una progettata serie di cui uscirà nel 2015 un nuovo episodio, il romanzo racconta l'indagine su un omicidio d'eccezione condotta da un investigatore d'eccezione nella Londra di Elisabetta I.
Il romanzo è in vendita nelle librerie e sui pirncipali siti on line, anche in e-book.

 Christopher Marlowe, detto Kit, poeta acclamato, ma anche libertino impenitente, accusato in passato di sodomia e ateismo, muore assassinato a causa di una pugnalata in un occhio. Le indagini vengono chiuse velocemente e il presunto omicida rilasciato. Tanta fretta non convince il collega, amico e rivale di Kit, il coltissimo John Florio. Nel clima torbido delle guerre di religione, della rivalità tra i favoriti di Elisabetta I, in una Londra resa ancora più fosca dalle lotte di potere tra i partiti di Lord Cecil e del conte Leicester, tra massoneria e misteriose confraternite, John Florio giungerà a scoprire una verità sorprendente e a conquistare la Dark Lady, Amelia Bassano, figura enigmatica e musa ispiratrice di Marlowe. La scuola della notte è il primo episodio di una serie di romanzi che hanno per protagonista un investigatore e avventuriero d’eccezione: John Florio, un esule italiano, scrittore e traduttore di altissimo profilo del periodo elisabettiano, la cui personalità complessa potrebbe celare il vero autore delle opere comunemente attribuite a William Shakespeare.


CAPITOLO TERZO 

(...)

Eleanor Bull, la vedova di Deptford nella cui casa era avvenuto l’omicidio di Marlowe, tirava avanti affittando a ore due sale del pianterreno della sua dimora a una ristretta cerchia di conoscenti per cene e riunioni conviviali in cui, aiutata dalla sua servetta, offriva a pagamento i suoi servigi di cuoca. Non aveva una regolare licenza e doveva esercitare la professione in modo quanto mai discreto. In realtà non aveva molto da riferire sull’incidente. Rammentava perfettamente quanto avvenuto quel giorno, ma era entrata nella sala dove i quattro uomini banchettavano quattro o cinque volte, solo per portare birra, vino e vivande. Rispondeva senza reticenza alle domande e non sembrava avere nemmeno troppa fretta di liberarsi dell’elegante signore che era venuto a titolo personale a informarsi sui fatti di quella tragica giornata. La sua clientela abituale di mercanti, artigiani e piccoli funzionari statali non era così raffinata come avrebbe voluto che fosse e ambiva elevarsi. Era stata subito attratta dai modi cortesi, dal bel volto abbronzato, incorniciato dai ricciuti capelli neri dello sconosciuto. Era proprio il tipo d’uomo con cui si sarebbe tolta volentieri un capriccio. Era ben vestito e pulito, aveva spalle larghe e vita sottile e quando incontrava il verde mare dei suoi occhi penetranti e maliziosi, si sentiva quasi sciogliere di desiderio. I garbati complimenti che le rivolgeva con una voce calda e suadente, avevano del tutto infranto la sua studiata ritrosia e il suo contegnoso riserbo.
 «Dunque milady Eleanor, a parte i naturali commenti sul cibo e, di certo, sulla vostra avvenenza, avete udito altri brani di conversazione dai vostri clienti?», chiese John con aria delusa.
«In verità no, ma forse non ci ho badato più di tanto. Sapete, non mi intrometto mai nei colloqui privati dei frequentatori della mia casa e non m’impiccio dei loro affari», rispose la donna facendo mostra di grande scrupolo professionale. «Tuttavia, pensandoci meglio, qualcosa potrebbe venirmi in mente. Ho buona memoria e qualche brano dei loro discorsi l’ho sentito. È solo una questione di tempo e quello non mi manca, ohimè.»
«Fate con comodo milady», disse John con un sorriso, accorgendosi dell’ora oramai tarda. «Tornerò a farvi visita domani o quando più vi farà comodo.»
«No, no, non è necessario!», fece allora la vedova cercando di trattenerlo. «Potrete venire quando meglio vi aggrada, ho piacere di vedervi, ma se vi tratterrete ancora un po’, sono certa di potervi accontentare!»
La vedova abbassò lo sguardo e posando languidamente una mano sulla sua gamba, divenendo d’un tratto audace, propose, con un fil di voce: «Cenate con me, stasera! Ho cucinato con le mie mani un magnifico taglio di roast beef, frollato a dovere, che accompagneremo con dell’ottimo vino di Borgogna, tenuto in serbo solo per le occasioni speciali!»
«Mi piacerebbe molto, ma il mio appartamento è piuttosto lontano e i cancelli vengono chiusi presto. Se ritardassi, non riuscirei a entrare», si giustificò Florio, che aveva previsto di passare la notte in casa Southampton.
«Dormirete da me, allora! Le strade sono malsicure e non starei tranquilla sapendovi in giro, esposto al pericolo per causa mia. Avrete un buon letto e lenzuola pulite», propose e, con un lampo dello sguardo, aggiunse: «E me, se vi degnate!»
A John non dispiaceva affatto la matura vedova dai capelli rossi che, stretta nell’attillato corsetto, metteva in mostra i candidi globi del suo prosperoso seno. Sin dal primo momento Eleanor aveva esercitato su di lui le sue arti di seduzione, rivolgendogli sorrisetti maliziosi e occhiate inequivocabili. Di certo la pestilenza che dilagava in quel periodo aveva drasticamente ridotto l’affluenza nella sua casa ed erano rare le occasioni per socializzare: si capiva bene che si sentiva sola. Dopo la comprensibile diffidenza dei primi momenti, si era lasciata andare completamente al desiderio. Trasudava lussuria, quasi che il pericolo incombente avesse soffocato in lei ogni decenza e pudore. La paura della solitudine e del morbo, la disperata voglia di vivere, l’ansia del domani, le metteva addosso una febbre che si poteva placare solo nell’alcol e nel sesso.
Una carnalità inconsulta, la sola disperata reazione della vita alla morte incombente. Lui stesso se ne sentiva contagiato. John era regolarmente sposato e amava sua moglie, ma da tre mesi, dall’inizio dell’epidemia, era rimasto solo in città. Aveva spedito Rose e il bambino al sicuro, nella tenuta di famiglia dei Daniel, nel Somerset. Conosceva benissimo i rischi del contagio a cui si esponeva, ma l’aspetto prosperoso dell’ostessa “clandestina”, il suo sano incarnato e la pulizia esemplare della casa, erano di per sé rassicuranti. Tendenzialmente era un uomo fedele che privilegiava i sentimenti e che non indulgeva facilmente ai piaceri della carne, ma non era nemmeno immune dalle tentazioni. Non provava l’imbarazzo di cattolici e puritani che ritenevano la fornicazione un peccato, ma il senso della precarietà della vita l’aveva reso indulgente verso le debolezze del prossimo e di se stesso. Credeva, ben diversamente da quanto poteva accadere con una donna impegnativa come Amelia, che una notte d’amore con una popolana non avrebbe avuto alcuna conseguenza negativa sul suo matrimonio. Se quello, d’altra parte, era il prezzo da pagare per le informazioni che desiderava ottenere, l’avrebbe pagato volentieri.
Con la rassegnazione un po’ ipocrita di adempiere a un dovere stette, perciò, serenamente al gioco e non se ne pentì. La serata trascorse piacevolmente cenando di buon appetito e soddisfacendo gli amorosi sensi.

Mentre John stava già assopendosi, in piena notte, la vedova d’un tratto ricordò.
«Mi è venuto in mente un discorso che ho udito quel pomeriggio», disse mettendosi a sedere sul letto. «Non ricordo il contesto, ma parlavano di una scuola!»
«Scuola di cosa?», chiese John.
«Non l’hanno mica detto, di magia, forse. Una scuola notturna mi pare. Mi ha colpito il tono in cui ne parlavano: da mettere i brividi!», si giustificò la donna.
«Chi di loro in particolare?», incalzò Florio.
«Quello che è stato ucciso, messer Marlowe, ne sono quasi certa. Aveva un tono vagamente beffardo, ma non credo che scherzasse», considerò la vedova. «“Nella Scuola della Notte si evocano i demoni”, ha detto.»
«Siete sicura, Eleanor, che Marlowe abbia detto proprio così? Provate a ricordare meglio», insistette John.
«All’incirca il senso era quello, ma sono certa che ha detto proprio “Scuola della Notte”», confermò. «Un nome strano e curioso che non si può dimenticare. Ffrysar, se ben ricordo, rimproverava messer Marlowe di frequentare una compagnia di depravati, senza Dio, che attentavano alla morale, praticavano la magia e bestemmiavano il Signore. Lui aveva riso, dicendo che alla Scuola della Notte, per l’appunto, s’impara a evocare i demoni dell’inferno. Sghignazzando, aveva aggiunto che portava male parlarne in giro: si rischiava di trovarsi davanti Belzebù in persona e di dannarsi l’anima per sempre. È stato allora che ha tirato fuori il pugnale e lo ha piantato con forza sul piano del tavolo. Ffrysar gli ha risposto di andare al diavolo, lui e la sua Scuola della Notte. Non si scherzava più e hanno cambiato argomento. Quello che è avvenuto dopo non lo so, ma la tragedia non è nata da questo e nemmeno dal conto da pagare. L’ho già detto agli sbirri, il prezzo era tutt’altro che salato, visto quel che avevano mangiato e bevuto. Ma dite, mio signore, esiste davvero questa Scuola della Notte?»
«Non ne ho mai sentito parlare, in verità. Potrebbe essere solo una metafora, un nome in codice o, magari lo scherzo di un poeta che voleva impressionare le menti semplici dei suoi commensali. Grazie, comunque, di averlo ricordato, Eleanor, potrebbe rivelarsi un particolare importante per ricostruire cosa sia realmente accaduto al mio amico», disse John perplesso.

Quella notte non riuscì più a dormire. Stava con gli occhi aperti a fissare il buio nell’oscurità della stanza, cullato dal respiro di Eleanor, riflettendo su quelle misteriose parole e scivolando col pensiero tra le immagini che esse evocavano, non solo con la mente dello studioso, ma anche con quella del poeta.
La volta stellata, miracolo di bellezza e insondabile mistero, poteva rappresentare lo spazio infinito di un mondo parallelo, il regno dell’assoluta incertezza, dell’irrazionale e della paura incontrollata che domina lo spirito nella temporanea cecità della notte. L’insondabile vuoto del buio modificava ogni sensuale percezione e rimescolava la gerarchia dei valori, proiettando le tensioni vitali, i dubbi e le angosce quotidiane, nella forma di evanescenti fantasmi. La Notte che unendosi a Erebo dava alla luce Emera ed Etere, dilatava gli spazi e rendeva l’aria più spessa, quasi vischiosa, imponendo un respiro diverso, l’attesa di una epifania, quella differente scansione del tempo che è governata dall’immanenza del kairos, il tempo di Dio. Iniziava una vita diversa, al tramontare del sole, più intima e consapevole. Nell’atmosfera di trepidanti silenzi e di attese inespresse, il poeta coglieva con stupore e smarrimento il mistero palpitante della vita. Poteva udire nella sorda somma di suoni indistinti che chiamano silenzio, il proliferare della vita, i fiori che si aprivano e le farfalle che volavano. Comprendeva l’inesplicabile lotta contro la morte, nella crescita de “l’erba che nasce sopra le fosse”, nel germogliare del seme “nell’urna molle e segreta” della terra. Era forse di tutto questo che si parlava e si dibatteva alla Scuola della Notte? Metafore alchemiche, sogni e desideri inesprimibili o, forse, verità proibite e inaccessibili, troppo pericolose da rivelarsi alla luce del giorno, come le parole di un sortilegio o di una formula magica. Quale magia di idee e sensazioni aveva racchiuso il “prediletto delle Muse” nel nome della sua accolita di iniziati, l’indizio o, forse, la chiave stessa della sua immatura scomparsa? Due semplici parole, scuola e notte, avevano insieme una grande capacità evocatrice che apriva uno spiraglio su un intero universo. Suggerivano forse l’esistenza di un vitale mistero, di una occulta sapienza, rivelabile solo al buio, nel cuore della notte, bisbigliata di bocca in orecchio. Chi mai era Christopher Marlowe o, come lui preferiva firmarsi, Cristofer Marley?

(...)


© Arkadia Editore. Riproduzione vietata

Ugo Rampazzo è nato nel 1955 a Padova, città dove vive. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti a Venezia. Imprenditore, filmaker e regista nel campo della pubblicità, ha lavorato e lavora per i principali marchi internazionali. È un creativo poliedrico, appassionato di scienze umanistiche, in particolare di storia, archeologia e antropologia, interessi che ispirano i suoi lavori letterari.

Arkadia Editore e Ugo Rampazzo sono rappresentati da Tempi Irregolari.

martedì 16 dicembre 2014

Pubblichiamo un capitolo del romanzo BLOODY ROME. RICORDI DALL'EPIDEMIA Z di Agostino Palmisano

In occasione della presentazione, il prossimo 17 Dicembre, a Lecce (libreria Bookish in Via Cesare Battisti 22, in associazione con l'Associazione Arcadia Lecce) del libro di Agostino Palmisano BLOODY ROME. RICORDI DALL'EPIDEMIA Z (Arkadia Editore, 2014 pag. 136) e dell'uscita dell'edizione ebook, pubblichiamo un assaggio del romanzo, un giallo-horror in cui l'autore si dimostra capace di mantenere uno sguardo lucido e critico fisso sulla realtà e sulla società in cui viviamo. 

L’ispettore Marcus Conti Perez lavora in una Roma post-epidemia sanificata grazie al vaccino che immunizza dal Solanum, il terribile virus che ha riportato in vita i morti e che per poco non ha spazzato via l’intera umanità. Il vaccino ha funzionato, ma a lungo termine gli effetti collaterali potrebbero essere peggiori della piaga. Anche Marcus, attraverso la lenta necrosi della gamba, comincia a subirli. Intanto però la “vita” continua e, mentre gli zombi veri, “i rossi”, sono scomparsi, la popolazione umana al di sopra dei vent’anni si è trasformata in qualcosa di diverso. Nella Città Eterna, Marcus viene chiamato a indagare su uno strano caso: una stanza d’albergo colma di cadaveri che, apparentemente, si sono sbranati a vicenda. Eppure dovrebbero essere tutti immuni dalla malattia. Comincia da qui la difficile ricerca di una verità che lo porterà a scoprire una terribile organizzazione intenta a diffondere una versione del Solanum potenziata e ancora più letale. Tra colpi di scena, azione e depistaggi, una storia emozionante, intensa, che rivela un personaggio molto particolare, assolutamente fuori dalle righe, in un’atmosfera dalle tinte cupe e apocalittiche. Con Bloody Rome si inaugura una trilogia di romanzi ambientati nel mondo dei “non morti” e di una civiltà stanca e depressa che tenta di tutto per sopravvivere.

AGOSTINO PALMISANO

BLOODY ROME
Ricordi dall'Epidemia Z

©Arkadia Editore 2014

foreign rights handled by Tempi Irregolari

pag. 136




CAPITOLO 7 

Il mondo fa schifo e non c’è affatto bisogno degli zombi per dimostrarlo. Anche prima dell’epidemia non è che le cose funzionassero granché: le varie propagande governative sono tutte concentrate a farsi guerra psicologica a colpi di stupidaggini insulse come benessere, speranza, gioia. Addirittura c’è chi va oltre e parla di fratellanza tra i popoli e uguaglianza fra i cittadini. Demenzialità.
La storia della fratellanza è stata la cosa che ha destato le maggiori perplessità. Di per sé la fratellanza è un concetto ridicolo, inesistente e soprattutto inefficace. Tutte le volte che si è tirata in ballo la fratellanza la si è accompagnata con le armi o quantomeno, nei casi meni importanti, si è sempre messo in gioco il caro amato odio, verbale, ideologico, politico.
L’odio è di certo l’oppio dei popoli. Fai scattare la scintilla, rendi l’odio sacrosanto, e tutti ti seguiranno. L’odio è la cosa più bella del mondo, ti rimette in comunicazione con la natura, con l’universo. Nessuno di noi si è mai tirato indietro quando si è trattato d’odiare. E chi lo ha fatto è perito di conseguenza, chi mostra assenza d’odio è automaticamente odiato, deve morire. L’uomo è intriso d’odio, di sesso e di odio. Ma mentre il sesso è quanto meno considerato un istinto irrinunciabile per la sopravvivenza della specie, l’odio è sempre stato ammantato di un’ipocrita patina di negatività.
In realtà tale patina è stata inculcata dai potenti, da chi comanda, perché l’odio è un’arma troppo efficace per farci giocare chiunque, soprattutto i servi. Devono essere loro a scatenarlo, devono essere loro a guidarlo, e tutto questo per il piacere sessuale di gestire il mondo, la voglia irrinunciabile di sodomizzare le masse, violentarle attraverso la violenza che esse esercitano su loro stesse. Chiunque godrebbe, avrebbe orgasmi multipli se solo avesse la possibilità di scatenare e guidare dei massacri tra poveri. Cosa che succede puntualmente nelle guerre: esercito contro ribelli, militari contro militari, servi contro servi, poveracci contro poveracci. Napoleone era un figo della madonna.

Esistono vari tipi di fratellanze. Quella delle minoranze sessuali non è la più innocua. Si uniscono e creano comunità, si affratellano e commettono reati alla pari di coloro i quali si affratellano per la religione. In questo caso non si tratta di minoranze bensì di intere nazioni e continenti. E la religione è il più facile veicolo d’odio che si possa immaginare perché la scusa è forse la migliore: lo si fa in nome di Dio. E se c’è un dio di mezzo, uno qualsiasi, potete fare quello che volete, le dighe della morale esplodono e un mare d’odio distrugge tutto.
Anche nella lotta agli zombi è stato tirato in ballo sua santità eccellentissima e illimitatissima, Dio in persona, non uno in particolare, ma quello che più faceva comodo alla comunità di turno. Per tutti, gli zombi sono manifestazione del maligno, demoni reincarnati, punizione divina per i peccati del mondo. Logicamente in questo la cristianità ha potuto sfoderare tutto il suo arsenale settario con apocalissi varie, suicidi di massa e alieni redentori di sorta.
Nel biennio più oscuro, dal Duemilatré al Duemilaquattro, l’odio per motivi religiosi, imbrigliato in odio verso un nemico comune, ha potuto comunque deflagrare in manifestazioni altre, verso un altro tipo di zombi, ovvero i barboni. Sono stati accusati di veicolare il virus, di trasmettere disagio e paure ulteriori. Insomma, si è proceduto a sterminarli. Ogni notte ne sono stati massacrati a decine, centinaia, in tutte le città del mondo. In Russia sono nati gruppi paramilitari clandestini, denominati Uomini contro la Peste, che di notte se ne sono andati in giro a bruciare i barboni a tiro. In Francia ecco i Gruppi di Forza Superumana che, alla solita lista di prede, hanno aggiunto anche qualche rom, pusher e tossici ritrovati sballati per strada. Negli Stati Uniti è tornata alla luce la fratellanza ariana del Ku Klux Klan, i cui membri, con la scusa della caccia al barbone, si sono sfogati finalmente contro la maggioranza nera. Anche perché in quel paese la maggior parte dei barboni sono proprio neri e messicani.
In Italia sono tornati i fascisti, in Spagna i franchisti, in Gran Bretagna il Fronte Nazionale ha acquisito rispettabilità mentre in Germania sono riapparsi i nazisti. Tutti travestiti da gruppi di cittadini contro il pericolo dei non vivi. Per farla breve, quegli anni sono stati violenti e lugubri, in compenso le principali capitali turistiche del mondo sono tornate a essere sgombre di ruderi umani nelle zone più pregiate. Da ogni dove sono stati spazzati via i vecchi relitti puzzolenti che per troppo tempo hanno sostato davanti a vetrine ed esercizi commerciali nelle zone più centrali, immonde sanguisughe ubriache stese sui marciapiedi a due passi dai salottini borghesi e aristocratici di mezzo mondo, veri bacini di raccolta di un ben più pericoloso genere di zombi, gli zombi ricchi e sfruttatori.

In questo periodo di terrore il nostro Marcus Conti Perez è in prima linea nella lotta contro il Solanum. Ignazio è appena stato sbranato e a lui sono state imposte due settimane di ferie per riprendersi dallo shock. Ma una volte terminate, subito per strada di notte a vigilare e abbattere, routine per la squadra anti-zombi. Il suo nuovo compagno è un tipo sconclusionato di origini maghrebine, Said Nervi Aouita, fresco di accademia, che non la smette mai di parlare di donne. Ha una fissa inveterata per le bionde: biondine, biondone, biondazze affollano i suoi racconti pepati in cui lui non lascia mai scontenta nessuna.
È una placida notte settembrina e l’autunno comincia ad affacciarsi con una pioggerella snervante. I due se ne stanno tranquilli in auto con Said tutto concentrato a descrivere una polacca quarantenne che gli ha dato il numero di telefono mentre erano al bancone di un bar a bere ognuno per i fatti propri.
«Ti dico che me lo ha dato senza nemmeno parlarmi. Ha finito il caffè, ha messo le mani in borsa, ha preso carta e penna, ha scritto il suo numero, se n’è andata sorridendomi e porgendomi il pezzo di carta. La dovevi vedere, una biondona assurda, un petto così.»
Per fortuna ci pensa la radio a gracchiare e a interrompere l’ennesima menata: «Pattuglia 21, pattuglia 21.»
Marcus risponde solerte, finalmente salvo da quella tortura di idiozie: «Grazie a Dio, qui 21. Che c’è? Passo.»
«Portatevi su Nuova Piazza del Popolo, ci sono stati segnalati movimenti sospetti. Cassonetti in fiamme ai piedi dell’obelisco.»
«Andiamo subito. Passo.» Mette in moto e si lancia senza esitazione.
Said ricomincia il suo ciarlare vacuo: «Voglio sapere chi si mette a dar fuoco ai cassonetti stanotte, con questa pioggia.»
«Svegliati latin lover, non sono davvero cassonetti, è qualche barbone.»
«E perché ha detto cassonetti?»
Marcus: «Perché viene tutto registrato. Così se un giudice del cavolo si mette a indagare non risulta che noi tolleriamo certe cose. Quando arriveremo non ci saranno altre pattuglie. Solo noi che dovremmo spegnere il tizio e caricarlo in auto e portarlo in obitorio.»
«E nemmeno un’ambulanza?»
«Meno gente in giro c’è e meglio è.»
Quattro minuti dopo la mezzanotte, due dopo la chiamata dalla centrale, Nuova Piazza del Popolo li accoglie con tutta la sua grandezza desolata. Un deserto in una città sotto coprifuoco.
Ai piedi dell’altissimo obelisco centrale due fuocherelli stentati diffondono un leggero odore di pollo arrosto. Marcus parcheggia a pochi metri da loro. Una cosa non va, uno dei due si muove ancora.
«Maledizione, quei coglioni non sono buoni a fare niente.»
«Ma chi è stato?»
«Ma tu finora dove hai vissuto, su Marte?»
«In accademia mica arrivano ’ste notizie, si parla solo di legge, procedure ufficiali, di dispositivi di sicurezza. Di barboni in fiamme no.»
«A Roma ci sono gruppetti di neofascisti che si sfogano così. Pescano qualche barbone in giro per la città, li riempiono di botte, poi vengono nelle zone centrali, in luoghi importanti, e gli danno fuoco, così il giorno dopo i giornali parlano della cosa. Voi non leggete i giornali in accademia?»
«Io no, io penso solo alle bionde.» Il ragazzo non è per niente scosso dalla scena, è esterrefatto, incuriosito, come un bambino davanti a un nuovo giocattolo pericoloso.
«Appunto. Allora visto che queste cose non ti scioccano per niente, adesso vai fuori e gli spari un colpo in testa.»
«Non ci penso nemmeno. Una cosa è uno zombi, un’altra cosa è un essere umano normale, anche se è un barbone. Fallo tu.»
«Io non lo faccio per principio, non sono una bestia.»
«Non ci penso nemmeno. Una cosa è uno zombi, un’altra cosa è un essere umano normale, anche se è un barbone. Fallo tu.» 
(.......) 

© Arkadia Editore, riproduzione vietata

venerdì 12 dicembre 2014

Vulkan’’ Publishing House has printed Selected Works of Milorad Pavić in 10 volumes for Belgrade Book Fair 2014. Both paperback and clothbound boxed set are available. The editor, prof. Aleksandar Jerkov, decided to publish 5 books of short stories with the following titles: Belgrade Stories, Mediterranean Stories, It’s a Small World, Serbian Stories and The Last Story; as well as the novels Dictionary of the Khazars, Landscape Painted with Tea, Inner Side of the Wind, Unique Item and Last Love in Constantinople’(in one book), Second Body and Artificial Mole (in one book).

The Bequest of Milorad Pavić (Jasmina Mihajlović) has also taken part in this publishing project. The unusual design for the paperback editions was created by Nebojsa Zorić, while Dejan Jovanović took care of the ‘’old fashioned’’ clothbound editions.


Selected Works of Milorad Pavić are special because of the first publication of  The Last Story of this author, written just before he passed away. The story was published in the book by the same name. Also, the editor decided to put some novels together, so Unique Item and Last Love in Constantinople, novels of unusual form, were published in one book. On the other hand, Aleksandar Jerkov decided to unify the Second Body and Artificial Mole, two last novels of this acknowledged Serbian writer.

L’editore serbo VULKANI ha pubblicato OPERE SELEZIONATE DI MILORAD PAVIC, 10 volumi in paperback o in elegante cofanetto hardcover che includono 5 libri di raccolte di Racconti e 5 con i romanzi più famosi dell’autore de IL DIZIONARIO DEI KAZARI di cui ricorre quest’anno il trentennale della prima edizione: Dictionary of the Khazars, Landscape Painted with Tea, Inner Side of the Wind, Unique Item e Last Love in Constantinople’(in un singolo volume ), Second Body and Artificial Mole (in un singolo volume).
L’opera è stata presentata nel corso della fiera del libro di BELGRADO alla presenza dei maggiori autori e critici serbi, nonché di un folto pubblico. 

L’evento, seguito dalla televisione nazionale, è stato uno degli appuntamenti principali della manifestazione e ha attirato l’attenzione perché per prima volta è stato pubblicato l’ultimo romanzo scritto da Pavic poco prima di morire, opera a cui gli ultimi tocchi di labor limae sono stati dati dall’autore quando era ricoverato in ospedale e a cui ha lavorato sino agli ultimi istanti di vita. Significativo, quasi un presagio, il titolo che aveva deciso di dare a quella che è diventata la sua ultima fatica: POSLEDNJA PRIČA – L’ULTIMA STORIA.  
I diritti delle opere di Milorad Pavic sono della moglie Jasmina Mihajlovic e sono gestiti da TEMPI IRREGOLARI in accordo con gli eredi.

giovedì 25 settembre 2014

IL BERSAGLIO di SERGIO SOZI - ultima parte

Ecco infine il quinto capitolo e l'epilogo del racconto di Sergio Sozi, dove tutto verrà svelato.
Buona lettura!

Cinque
 

«Non starò a nascondermi dietro un dito. Anche perché è giunto il momento che il gioco cessi: vorrei evitare che ne nasca un’inchiesta giudiziaria ufficiale».
            «Come, lei non voleva distruggere pubblicamente Mastrangelo?» Santonastasio scuote la testa a chiedere spiegazioni. L’altro coglie e prosegue calmo:
            «Mi ha preso per un pazzo? Finché l’unico ad indagare era lei, un investigatore privato, bene... ma oltre non si va. Ho in programma di smentire tutto, quanto prima, in una conferenza stampa».
            «Mi sembra il minimo. E con lui come intende comportarsi?»
            «Stasera gli confesserò ogni cosa a quattr’occhi».
            «Non crederà mica che la perdoni cosí facilmente... lei lo ha portato... decisamente sull’orlo del baratro».
            «Resterò disoccupato, certo. Tanto fra un anno vado in pensione».
            «Rischia di andarci in manette. Non per causa mia, ovviamente. A me basta chiamarlo e confermargli i sospetti che avevo su di lei, poi quel che vuole fare fa, io ho finito il mio lavoro. Ma che senso ha, concludere una carriera e un’amicizia in questo modo?»
            «Ha senso proprio perché è il finale. Nei film che piacciono a me, nell’ultima scena gli attori principali si denudano... cercano di esprimere liberamente quel briciolo di verità che hanno scoperto, magari l’uno nell’altro, durante la storia. Una storia durata trent’anni, nel nostro caso».
            «Lei mi sembra persona sincera e integra. Come ha fatto a tacere per tutto questo tempo l’odio che portava per l’artista che rappresentava?»
            «Odio? Tutt’altro».
            «Come definirlo allora?»
            «Ha un amico vero, lei?»
            «Conoscenti molti, anche buoni, ma proprio amici intimi... li ho lasciati fra Siracusa e Roma», ammette Santonastasio.
            «Se li è persi per strada, giusto?»
            «...»
            «Inghiottiti dal nulla, capisco, succede a molti. Tuttavia io, poiché ne ho la possibilità, ho deciso di non fare questa fine. E salvare da se stesso un amico, credo sia la miglior credenziale per ottenere almeno uno di due possibili risultati finali: o allontanarselo definitivamente, o portarlo a capire che gli vuoi bene anche oltre la sua volontà».
            «Continuo a non capire».
            «Cercherò di essere piú chiaro: l’odio si sta mangiando Toni senza che lui se ne accorga. Crede di gestirlo, invece di anno in anno ne è consumato. E i suoi spettatori con lui».
            Carlo Orgosolo abbassa lo sguardo sull’aperitivo e prende a giocherellare con la fettina d’arancio, in bella mostra a cavalcioni sull’orlo del bicchiere. Il bar di Colchi Ametista ha solo tre tavolini esterni, al momento vuoti eccetto quello in cui siedono i due uomini. L’agente, per quanto molto curato, dimostra tutti i suoi sessantacinque anni.
            «Ma la spinta decisiva che mi ha portato, un mese fa, a pianificare questa messinscena me l’ha data una constatazione: che Toni l’avrebbe creduta vera, reale».
            «A me, signor Orgosolo, sembra che lei abbia ottenuto soltanto un effetto: far diventare ancora piú furibondo il suo amico, alimentare il suo odio, non certo diminuirlo».
            «Va bene anche cosí: questa è stata la prima volta che quel ragazzino di quarantadue anni abbia sperimentato su di sé gli effetti del male... con cui ha giocato tutta la vita. Adesso, se ci rifletterà un attimo, Toni avrà la riprova che l’odio e la violenza possono passare da un film alla realtà e non solo viceversa, come accade di norma. La nostra è una società basata sull’emulazione. E i personaggi malvagi sono i piú facili da imitare perché dànno agli stupidi e ai mediocri l’illusione di poter uscire, senza troppi sforzi, dall’anonimato e dal grigiore in cui sono immersi quotidianamente. Spari a qualcuno e diventi una star: lo stanno capendo tutti, ormai, questo slogan, dopo tanti, troppi decenni che i mass media esaltano i criminali finti... magari condannati ma sempre esibiti, dunque protagonisti. Cioè eroici. Belli».
            «Mah... solo pochissimi squilibrati divengono mitomani o assassini per colpa dei film».
            «Non cosí pochi, dicono le cronache. Li legge assiduamente i giornali, lei?»
            «Non piú di un paio di volte a settimana. Preferisco la poesia greca o romana».
            «Cinema, stampa, Internet e tivvú: nel complesso una gigantesca cassa di risonanza del male che genera replicanti. Il bene non fa notizia e non vince premi ai festival, non viene considerato arte né cronaca da mettere in risalto. Vede? Lei, Santonastasio, vuole tenersi distante dal male, perché, da persona moralmente forte e caratterialmente stabile, oltre che non piú giovane, sente che ne potrebbe essere sedotto e assorbito. Ma la massa non è come lei... come noi due. La gente vuole, sia dalla cronaca giornalistica che dalle opere d’arte, solo sangue e sesso. La massa è fatta di topi di laboratorio passivi a qualsiasi esperimento dei cosiddetti artisti. Persino Toni – artista non superficiale, persona sensibilissima e fine psicologo, mi creda – persino lui, dico, si è lasciato coinvolgere dal suo personaggio al punto da entrare in combutta con un gruppo di volgari satanisti erotomani... che prima o poi ammazzeranno qualcuno sul serio. E lí cominceranno i guai seri per Toni».
            «Cosí lei, Orgosolo, si sta sacrificando per il bene del suo miglior amico. Crede che Mastrangelo capirà, o semplicemente andrà dai miei colleghi a denunciarla?»
            «Non me ne frega niente. Mi basta di aver agito secondo coscienza».
            «O la va o la spacca», termina il Nostro insieme al suo Campari senza ghiaccio. E sorride. Mentre il Terzo gli urla dentro: «Fesso, se mi interpellavi prima ci saresti arrivato in un soffio, mica col solito lavorío interiore che ti rompe le ossa. Stacanovista dei miei...»
 

Epilogo

 

Dal Corriere della Sera del 22 gennaio 2015, a pagina 12, in cronaca italiana: 

MASTRANGELO RIAPPARE IN PUBBLICO

MILANO - «Soltanto illazioni prive di fondamento, diffuse da persone delle quali non conosco né desidero conoscere l’identità»: cosí ieri l’attore, apparso sereno e in compagnia del suo agente Carlo Orgosolo, in una gremita conferenza stampa nella sede della ABL Cinematografica, l’azienda che sta producendo, insieme a dei colossi americani, il suo prossimo film. Ma non è tutto perché Mastrangelo, oltre a liquidare le voci girate insistentemente in queste settimane che, tra l’altro, lo davano vittima di una persecuzione da parte di ignoti ricattatori (per approfondimenti vedansi CdS del 13 e del 16 gennaio scorsi ed intervista a Mastrangelo qui nello Spettacolo), ha desiderato anche fornire alla stampa una anticipazione, che riportiamo non senza un pizzico di stupore: «Questo sulla Grande Guerra sarà il mio ultimo film: passo all’editoria fondando, in società con il mio caro amico Carlo, la Mastrangelo & Orgosolo Libri, MOL. Il primo titolo, in uscita a fine marzo, sarà un romanzo per ragazzi». Come commentare? Poveri figlioli!
 
 
(© Sergio Sozi. Lubiana, iniziato a giugno e terminato il 26 agosto 2014)
Oggetti volanti (poesie – FRA.RA., Perugia 2000. Segnalazione Premio Sandro Penna 1999)
Il maniaco e altri racconti (Valter Casini Editore, Roma 2006. Racconto eponimo segnalato nel 2002 dal Premio Trieste Scritture di Frontiera)
Il menú (romanzo – Alberto Castelvecchi Editore, Roma 2009)
Ginnastica d’epoca fredda (saggio e racconto eponimo – Historica Edizioni, Cesena 2009)
Intervista a Claudio Magris (ib. 2009)
Il filosofo e il giullare – intervista a Umberto Galimberti (ib. 2011)

giovedì 18 settembre 2014

IL BERSAGLIO di SERGIO SOZI parte seconda

Qui di seguito pubblichiamo il terzo e quarto capitolo del racconto inedito di Sergio Sozi. Il finale con la soluzione sarà on line la prossima settimana, per chi non avesse, nel frattempo, scoperto il colpevole. Buona lettura! 

Tre


Sparito l’attore, Santonastasio non tarda a rivolgersi ad Euterpe III, quello dei suoi due gemelli interiori che meglio si addossi i pensieri d’ordine strettamente sbirresco.
            «Secondo me...» conclude costui mentre il capitàno, in salotto, si scola l’ennesimo bicchierino di grappa nepalese «...qui di piste ce ne sono svariate: la prima, vabbè, è la moglie Emanuela che fa tutt’uno con l’amante Bruno (notare la rima); la seconda l’azienda di produzione cinematografica con la quale Mastrangelo è ai ferri corti in tribunale e la terza i mafiosetti che gli spararono anni or sono e che sicuramente non han dimenticato le botte ritirate al posto del liquido (se non consideriamo il pus). E anche una quarta: i suoi colleghi che, stiamone certi, farebbero salti di gioia a spedirlo prima fuori dal giro e poi magari drittodritto in braccio al Creatore. Gli fanno andare in tilt i gangli, lui si autoisola, respinge i contratti, arriva la depressione insieme alle solite droghe, si sparge la voce che è inaffidabile... infine la spedizione, via pillole o roba pesante maltagliata, al capolinea Settimo Cielo. Mica poco, eh, capo?»
            «Un corno!» replica Euterpe-Euterpe scocciatello «ma non vedi che stiamo ancora ai blocchi di partenza e privi di qualsiasi affidabile indizio?»
            «Eccoci alle solite menate: vuoi che ti indichi io come e da dove cominciare la tarantella».
            «Ti mantengo a grappe ed Emmesse maild come un principe, me lo dovresti, no?»
            «Brutto non potersi separare. Per le identità multiple nessuno ha ancora pensato ad applicare il diritto civile. Ah, stessimo in America...»
            «Civile... tu civile, Terzo! Dài, piantala e dammi il la».
            «E che, so’ un diapason?»
            «No, sei solo suonato».
         «Specularmente parlando concordo a pieno, capo delle mie ciabatte. Ma ora... mh... dàmmi retta: inizia le indagini vedendo se ne sa qualcosa Gaetano Barresi».
            «Tano... ne son trascorsi di anni ormai... be’, perché no. Spero non sia morto di cirrosi. Domattina lo chiamo».


«Toni Mastrangelo? Proprio quello, l’attore, mi ha detto, capita’?» chiede senza nascondere una via di mezzo fra distrazione e curiosità Gaetano Barresi, mentre continua a tener d’occhio la canna da pesca sul molo, per niente affollato vista l’ora ancora distante dal pranzo e considerato il mese, un lavorativissimo gennaio in cui, nonostante il cielo limpido, i triestini ben poco si accorgono che la città sta sul mare; poi «posso informarmi senza probblemi» prosegue col sempre marcato accento romano, «ma si dice da anni che Mastrangelo sia uno un po’ esagerato... esagerato in tutto...» e si interrompe per dare una strattonata alla lenza.
            «E dài a fare l’oracolo di Delfi», rimanda il Nostro, sornione, accendendosi una sigaretta. «Il tuo consueto modo per chiedere quanto pago per approfondire il discorso. Pago, pago, tranquillo». E gli fa scivolare nella tasca del giubbotto una bella banconota di quelle marroncine con scritto cinquanta. «Altre cinque uguali a lavoro compiuto, piú rimborso spese. Adesso prosegui, poi entro un paio di giorni mi mandi il papier. Non per posta elettronica... non provarci o chiudo il rapporto: consegna a domicilio nella buca delle lettere come un tempo, chiaro? Metodo sperimentato e sicuro».
            «Contento lei capitàno... ecco, Mastrangelo a Cinecittà ha fama di nevrastenico. Lo sono un po’ tutti i miei ex colleghi der cinema, però... be’ finora, grazie all’agente, che è uno molto ben piazzato, ha lavorato tanto, ma... correva voce...» ed estrae una corpulenta fiaschetta dalla saccoccia interna.
            «Che, sei passato ai super
            «Niente piú benzina da cinque anni, capitàno... è che stando qui a pescare tutto il giorno mi viene sete e non mi va di farmi spennare dai caffè delle Rive. Cosí mi porto dietro acqua e limone, come gli scout».
            «Fesso. Dài, prosegui: corre voce che...»
            «Un attimo...» lo interrompe l’uomo, che ripone la fiaschetta nella stessa tasca, estrae dall’altra un thermos odoroso di caffè e se ne versa in gola un paio di sorsi. Poi si allontana con un cellulare in mano per qualche minuto e di ritorno: «...dicevo che Mastrangelo s’è bruciato il cervello a suon di coca, alcool e incontri strani. Lui sí, che va con i super... tutto super: una separazione dalla moglie che fra poco, con la sentenza definitiva del tribunale di Venezia, diventerà un superdivorzio, visto che lei gli ha chiesto mezzo milione di euro all’anno di alimenti e lui gliene ha dovuti concedere trecentomila per avere almeno una piccola speranza di chiudere la causa. E ancora: supercoinvolto con la ’ndrangheta del suo paesello natale giú in Calabria, che se non lo avessero spinto quelli, lui la carriera se la sarebbe sognata... e... e supergiocatore... ha delle ipoteche, si mormora. Troppe. Eccetera eccetera. Il séguito, Santonastasio, glielo scrivo dopodomani a mezzogiorno con le virgole e i puntini al posto giusto».
            «Bravo: quando metti nero su bianco, niente sentito dire, solo fatti veri e accertati. Però attenzione: devi tener presente anche la moglie. Sai come reperirne i dati? La puoi rintracciare? Ah, non ne dubitavo. Adesso toglimi una curiosità: ma come fai, dopo vent’anni che non reciti piú a teatro e dieci che sei uscito dai Servizi, a saperne ancora come una... di quelle d’alto bordo?»
            «Sono un morto de fame. I pezzenti, nell’ambiente artistico d’ogni tempo, suscitano simpatia e solidarietà. Inoltre, poiché grazie alla crisi ormai semo in tanti, ce se dà ’na mano a vicenda. Per esempio due de quei suoi bbiglietti marroni io so già a chi li devo passare. Il resto va per mi’ moglie, come ar solito». E con mossa fulminea da tennista, l’ultrasettantenne Gaetano Barresi estrae dal triestin Adriatico un branzino che peserà di sicuro almeno quanto l’intero suo braccio destro.


«Motore... ciàc... azione!»
            La voce di un regista nell’impartire gli ordini di prammatica non è cambiata, dopo oltre cento anni di pellicole: sempre vagamente liturgica e un po’ irritante per la troupe. E neanche uno scenario di guerra del 2015 differisce da uno analogo della ’15-’18, se proprio si desidera ricostruirlo: trincee con cavalli di frisia, sacchetti di sabbia, baracchette per i cecchini, fossati fangosi... e un sonoro che raramente parte senza botti. Proprio come adesso. Appena avviate le telecamere digitali il teatro dell’azione, posto al centro per poter essere inquadrato contemporaneamente da diverse angolature, prende a pullulare di frenetici soldati che, rivestiti di sporche e rozze uniformi grigioverdi, strisciano come lucertole gettando oltre il filo spinato bombe a mano simili a giganteschi funghi e collane di fucilate assortite con obici a piú dimensioni, fra cupi rimbombi di esplosioni, fischi di proiettili e imprecazioni di commilitoni e superiori, agitati o feriti. Evidentemente il momento del conflitto non dev’essere dei migliori per chi sta da questa parte della barricata.
            «Ecco, adesso: entra, Toni!» fa l’Aiuto-regista sottovoce dandogli un’amichevole spintarella. Mastrangelo, con indosso una mimetica da sottotenente dell’esercito italiano opportunamente maltrattata e lorda di mota marrocina, si butta carponi un paio di metri a destra dell’obiettivo della Numero Tre, estrae fulmineamente una grossa Luger e, a bruciapelo, scarica due colpi sulla schiena di un tenente che gli sta a fianco. Poi si guarda attorno e, verificato di esser solo – gli altri sono distanti ed occupati a respingere l’assalto avversario, il cielo è coperto di nuvole – scava in fretta una buca e vi seppellisce la rivoltella, ghigna soddisfatto e continua il percorso camminando accucciato verso una postazione coperta, presente a poca distanza. La Numero Tre lo segue in soggettiva mentre entra nel modesto ambiente: vi sono tre soldati in linea, intenti a sparare da altrettante feritoie. Quello di sinistra si volta amichevolmente verso Mastrangelo: «Ah è qui, signor sottotenente...» ma questi ricambia la cortesia piazzandogli una pallottola in testa, stavolta grazie a una Beretta che immediatamente rivolge agli altri due, abbattendoli senza dire una parola. Toni non suda neanche, registra la Numero Uno: con una paletta metallica scava in un angolo del polveroso pavimento e in breve ne estrae un involto contenente una divisa da fante austriaco che egli indossa, riponendo quella italiana nello stesso luogo. Una volta copertala di terriccio, con rapida accuratezza esce, si arrampica sul fianco del fosso che dà sull’esterno, scansa un grosso sacco di rena e chiatton chiattone prende a dirigersi verso il fronte nemico, quando una forte deflagrazione gli succhia d’un tratto il sangue freddo sino all’ultima goccia: «Ma porca... stop! Ho detto STOP!!» urla.
            L’ordine viene ripetuto dal regista. Un improvviso silenzio cala sul set.
            «Che ti piglia adesso?!» lo investe stizzito l’Aiuto.
            «Come che mi... boia della miseria!!»


«Ho mascherato la cosa con un malessere improvviso ma quella, mi creda, era una granata vera. Vera, capisce? Fossi stato tre metri piú a destra mi avrebbe preso in pieno. L’onda d’urto mi ha tirato via il berretto e scompigliato i capelli. E vedesse la buca! Meno male che non se n’è accorto nessuno perché tirava vento – siamo sul Carso, – gli effetti speciali sono ad alto volume, il cameraman era distante e inoltre la scena è disseminata di fosse finte... una piú, una meno...»
            «Accipicchia...» non riesce a commentare diversamente Santonastasio all’altro capo del filo «...e quanti giorni mancano al suo compleanno... tredici, già. Dunque hanno fretta di concludere il discorso con... largo anticipo. E magari questo significa anche che se riusciamo a superare indenni la sua festa l’assass... ehm il persecutore le darà partita vinta e la lascerà in pace».
            «Se è mia moglie, non ci credo affatto. Mi vuole stecchito. Quando che sia».
«Un attimo. Alla luce di questa bomba non è da escludere – anzi adesso è probabile – che la gamma delle tipologie sia la seguente: uno psicopatico che vuole sfidare i nervi del divo; qualcuno che cova vecchi rancori; o qualche malato di invidia fra il personale. Le mie ricerche insomma dovranno indirizzarsi per forza lí, sul suo attuale set. Ma suppongo ci giri tanta gente, no? Perciò il nostro amico, ancora coperto dall’anonimato, ci riproverà senz’altro e ben presto. Ora, Mastrangelo, mi faccia avere quanto prima un elenco completo del personale presente sul Carso e dei visitatori d’ogni tipo, inclusi quelli che ci sono capitati solo cinque minuti: scenografi e relativi assistenti, scavatori, manovali, fornitori di armi di scena, attrezzisti, facchini, amici amanti e conoscenti con o senza passi... persino il nome dell’agente della compagnia assicurativa... insomma tutti tutti, chiaro? Dal truccatore al sorvegliante notturno. Voglio una lista piú dettagliata dei titoli di coda. Poi... senta... lei vuole proprio continuare a girare?»
            «Proseguo fino all’ultimo ciàc, certo, mica posso interrompere il film a metà... una coproduzione italoamericana ad alto budget! Una parte deliziosa di coprotagonista in una storia ispirata ad una vicenda realmente accaduta nel 1917: i due efferati traditori Giacomo Prampolelli – impersonato da me – ed Eugenio Pesci, che riuscirono a sabotare l’esercito italiano e a salvare la pelle a Vienna, dove, sotto falso nome, divennero ricchi per morire infine nel proprio letto in età avanzata, circondati dall’affetto familiare. Negatività pura. Roba da Oscar. Poi guardi, Santonastasio: se mi tiro indietro dovrei pagare una grossa penale e inoltre, al momento, non dispongo di altri contratti. Potrò solo farmi accompagnare sul set dai miei due scimpanzè: sono tipi svegli di cervello... stavano nelle teste di cuoio francesi».
            «Ma cosí desterà sospetti... un attore che a gennaio si fa scortare sulla scena in mezzo al Carso piú che mai deserto...»
            «Alternative?»
            «Mh. Il regista è americano?»
            «Nato a Los Angeles da genitori italiani».
«Allora sarà abituato ai tipi stravaganti. Gli dica che ha bisogno dei suoi... camerieri personali che le devono servire una dose di whiskey ogni fine scena».
«Il cordiale me lo passa già adesso in abbondanza l’Aiuto-regista... sa... qui siamo durante la prima guerra mondiale...»
«Siringa di robba personalizzata?»
«Ehm... self service».
«Ma lei, perdinci, è nato nel vaso di Pandora! Insomma trovi una scusa qualsiasi per non farsi fare la pelle mentre lavora. Intanto io vedrò di accelerare i tempi. Un fidato informatore mi ha appena consegnato un rapportino da cui sto deducendo parecchie cose utili, che momentaneamente non riferisco per evitare che le sfuggano di bocca in qualche momento di... sogno ad occhi aperti... ci siamo capiti. Intanto mi tenga aggiornato: la richiamo io domani verso le ventuno, d’accordo?»
«Ottimo, a quell’ora, se non già deceduto, sarò libero di sicuro».
«Tocchiamo ferro».
«Ferro un c...»
Abbassato il ricevitore, Santonastasio rifiuta con decisa cortesia la consulenza offerta da Euterpe III e dissigilla la cartella giallo ocra, appena estratta dalla cassetta delle lettere:

Caro capitàno, si ricorda nei dettagli il nostro colloquio dell’altroieri sul molo? Eh no, sarà difficile che, anche un intellettualone come lei, possa rammentare ogni particolare di quel dialogo peschereccio. Ebbene...


Quattro


...le avevo accennato agli incontri strani del nostro soggetto – scrive l`informatore –. Ecco, mi sono chiarito le idee: in realtà sono peggio che strani. L’attore ha a che fare con una setta satanica, una fra le piú pulite, o quasi, cioè dedita a orge selvagge legali, con droghe (queste meno legali) ma senza sangue né violenza... eppure molto pericolosa, a giudicare dalle idee malvagie che la guidano. Questo, Santonastasio, glielo posso scrivere con sicurezza perché son riuscito a procurarmi un testo, una specie di preghiera diabolica vergata di propria mano dal soggetto stesso e da lui firmata insieme ad un altro tizio, di cui le dirò piú sotto. La allego senza, purtroppo, per ovvia delicatezza e tutela delle fonti, poter precisare le modalità in cui ne sono venuto in possesso. Per venire alle altre scoperte, eccogliele elencate di seguito:
1) Telefonando a un mio vecchio amico che fa il figurante da una vita, ho scoperto che adesso lavora sul Carso proprio nel film di Mastrangelo, dunque ieri lo sono andato a trovare in loco. Ecco. Era un momento di pausa e, tra le maestranze occupate a consumare i cestini-pranzo, non mi è sfuggita un’altra presenza: quella di Franco Lumia, un maturo sarto di scena siciliano che, diversamente da me, è riuscito a passare dal palcoscenico al set. Ho finto di non vederlo ma so che mi ha notato. E so anche che era un fanatico religioso, di quelli cattolici ortodossi che rasentano l’integralismo. È lui l’addetto agli abiti di Mastrangelo, insomma lo veste riveste e spoglia a ogni cambio di scena. Visto il vizietto di Toni, sarà lecito considerare quei due come il Diavolo e l’Acqua Santa: che tipo di convivenza avranno instaurato? Un ménage non privo di attriti cioè di rischi per il Nostro... e niente di meno per l’altro. Ma qui il perseguitato è il Diavolo, non l’Angelo.
2) La signora Emanuela Dessí, entro breve (tredici giorni esatti se la sentenza di divorzio verrà emessa puntualmente) ex coniuge del Mastrangelo, non è tipo che cerchi di nascondersi. Tutt’altro: è limpida come il Po a Pian del Re. E non ha amanti. Nessuno, benché a trentacinque anni e munita com’è di bella presenza potrebbe permettersene piú di uno. Invece vive da sola a Trieste mantenendosi con un dignitoso lavoro saltuario di doppiatrice a Roma e qualche particina in film d’essai; dunque non naviga nel denaro ma non se ne lamenta affatto. Inoltre le voci sugli alimenti principeschi erano del tutto false e immagino da chi messe in giro: in verità lei gli ha chiesto trentamila euro l’anno (ho letto il verbale) che l’avvocato di lui è riuscito a portare a ventimila scarsi! Se lo accoppasse sul serio (il marito non l’avvocato) il mondo non ci perderebbe, ma quella donna è troppo seria per – dopo essersi abbassata a sposare Mastrangelo – abbassarsi di nuovo ad usare mezzucci simili per ripicca o interesse economico.
3) Riassuntino di altre notiziole utili ad indirizzare l’indagine:
La ABL Cinematografica, azienda di produzione italiana del film insieme ad altre due statunitensi, è piena di debiti. Nonostante questo ha sottoposto un contratto da ottocentomila euro a Mastrangelo (duecentomila in anticipo, il resto a lavorazione ultimata). L’altro protagonista della pellicola, un italoamericano alquanto noto negli USA, ne prenderà solo la metà. Motivo del trattamento privilegiato: Toni incontra il presidente della ABL, Lucio Neri Bossi (è lui il cofirmatario della preghiera luciferina), nelle riunioni orgiastico-magiche della anzimenzionata setta – sta a significare che molto probabilmente l’attore lo ricatta, perché Bossi è sposato con prole. Fatto sta che le ipoteche di Mastrangelo (ben quattro e grosse) sono state sciolte, qualche giorno fa, grazie a una serie di versamenti effettuati dall’attore stesso stranamente nelle medesime date di una serie di esborsi registrati come ‘‘straordinari’’ dall’ufficio contabilità della ABL. A sommare il compenso professionale e questi extra bonus si ottiene, guarda caso, il totale delle ipoteche del nostro divo.

Ed è tutto. In una busta a parte, troverà qualche numero di telefono per proseguire da solo. Se servisse altro non faccia complimenti, sor capitàno: come sempre sarà mio punto d’onore riuscire a farle risolvere il caso quasi senza dover uscire di casa.

Suo aff.mo
Gaetano Barresi

Cosí stando le cose – medita Santonastasio richiudendo la cartella – la lista dei nomi che ho chiesto a Mastrangelo diventa del tutto inutile... o meglio... un attimo... quell’elenco di persone presenti sul set carsico servirà a coprire il mio vero pensiero agli occhi di questo attore un po’ troppo losco per i miei gusti. Continuando davanti a lui a concentrare le mie indagini sui suoi colleghi e sulla moglie, non gli farò sospettare minimamente che invece ho appena messo sotto i raggi x lui e il suo compagnuccio di merende Lucio Neri Bossi. Perché è evidente: escludendo il sarto cattointegralista – per quanto invasato sia, mi sembra eccessivo considerarlo un assassino – ed eliminando anche la pista della ’ndrangheta, visto che Mastrangelo o ne è membro o ne è un caro amico, le ipotesi che stanno in piedi restano... mah... diciamo in primis una: l’attentatore è Bossi, il quale, prima di ucciderlo, sta cercando di recuperare da Mastrangelo i soldi che ha dovuto versargli finora per pagarne il silenzio sulla setta satanica – dunque, se fosse cosí, Toni mi starebbe nascondendo una richiesta di denaro fattagli dal suo anonimo persecutore quando lo ha chiamato telefonicamente, e me la sta nascondendo perché non immagina che la preghiera sia il vero motivo della persecuzione, ossia non sospetta del Bossi. E fin qui a considerare diciamo candido l’attore. Però, proseguendo nella stessa ipotesi, eccone un altro risvolto che gli macchierebbe alquanto la coscienza: Mastrangelo, mentre confida in me per scoprire l’identità dell’attentatore, sta approfittando della faccenda per incolpare la moglie – della quale sa l’innocenza – in modo da vincere la causa con lei ed evitare di darle i miseri ventimila euro che le dovrebbe per gli alimenti. Siccome il giorno del suo compleanno è anche quello previsto per l’emissione della sentenza di divorzio, Mastrangelo sta facendo di tutto per dimostrare la colpevolezza della donna entro tale data.
Ma... cosa ho detto? Il compleanno di Mastrangelo coincide con la sentenza, sí, ho detto!
Già. Dunque quella data ora mi dovrebbe sembrare un tantino troppo centrale, anzi... forse... studiata. Vediamola un po’. È importante in tre contesti attinenti: per la causa di divorzio, per l’evidente intenzione di Mastrangelo di strumentalizzarla contro la moglie e... per il persecutore, che l’ha inserita nelle lettere minatorie. Dunque, guarda caso, quella data, nelle lettere, fa combaciare gli interessi del perseguitato con quelli del persecutore.
Da qui ecco sgorgare un’altra ipotesi: la persecuzione e gli attentati sono solo una farsa, il cui autore è Mastrangelo in persona, che vuole condurmi a collegare due nomi ben precisi, avendo l’intenzione di spedirli in prigione in tandem grazie a me: Emanuela e Bossi. Ma, mi chiedo, perché? Emanuela va bene... la odia e non vuole passarle gli alimenti... ma Bossi? Se lo mandasse in galera lo rovinerebbe e non potrebbe piú mungerlo. Non ha senso. Mh. A meno che... certo, dimenticavo la situazione finanziaria del produttore! – grida Santonastasio prendendo a rigirarsi fra le mani la busta contenente la preghiera satanica. E prosegue: – il discorso deve essere cosí impostato: prima che cominciassero le lettere di minaccia, ma dopo la firma del supercontratto per il film e anche dopo gli altri esborsi ‘‘extra’’, Bossi, ormai depauperato, deve avere detto a Mastrangelo: ‘‘Hai visto che contratto coi fiocchi ti ho fatto? Sei contento? Be’ la ABL sta per fallire, dunque, d’ora in avanti, da me non vedrai piú un soldo: divulga pure la nostra preghiera. Provocherai uno scandalo che non finirà piú e ci rovineremo entrambi la carriera. Tanto io, ormai, sono un uomo finito. Anzi guarda: se mi dài ai nervi con altre richieste di denaro, la copia di quella preghiera, che tu sai è nelle mie mani, la rendo pubblica io. Dunque comportati bene, Toni, lasciami in pace, lavora e fa’ il bravo bambino’’. Cosí Mastrangelo, il quale tutto vorrebbe meno che questo (ed oltretutto odia i bravi bambini), mette in atto velocemente la contromossa: inizia ad autominacciarsi ed autoattentarsi e assume me. L’attore, manipolando ben bene le informazioni che sarebbero dovute giungermi all’orecchio, pensava di portarmi a capire il contrario del reale, cioè che era Bossi a ricattare lui per la setta satanica e siccome lui, Toni, non voleva cedere, il produttore aveva preso a minacciarlo e bombardarlo per convincerlo a pagare. Immagino che per rafforzare tali accuse Mastrangelo, in questi giorni, abbia anche iniziato a versare, all’insaputa di Bossi, qualche migliaio di euro sul suo conto corrente bancario. Mh. E sí... diabolico l’obiettivo dell’attore: eliminare il pericolo Bossi, il pericolo sputtanamento, e distruggere l’Emanuela. Dunque questa preghiera compromettente è stato Toni a farla avere a Tano perché giungesse nelle mie mani. Mastrangelo, nel firmare con me il contratto di consulenza investigativa privata, ha veduto bene di inserire un comma che mi impedisce la divulgazione di qualsiasi atto emergente dalle mie indagini che possa esser pregiudizievole per il buon nome del cliente. Insomma Toni sa che non potrò mai esibire questa fottutissima preghiera: nel mio cassetto è piú sicura che nel caveau di una banca. E mentre Bossi finisce dentro per tentata estorsione, tentato omicidio, lesioni, minacce e persecuzione postale, Toni riesce a rubargli l’altra copia della preghiera che evidentemente il produttore deve conservare in qualche parte che lui immagina o sa. Emanuela, anche se presto scagionata, resterà comunque pubblicamente implicata, cioè infangata, in una vicenda di satanismo e probabile ricatto ai danni del marito. Ecco. Brutta robba.
Ma c’è un ma. Se Mastrangelo vuole portarmi a tutto questo, perché non mi ha ancora detto qualcosa tipo: ‘‘Bossi mi sta ricattando per una certa faccenda e secondo me, in combutta con mia moglie, per forzarmi a pagare ha preso a spedirmi lettere minatorie ed ora, a mostrarmi che non scherza, anche bombe vere sul set’’? Ecco... perché, ripeto, non mi ha ancora detto questo, o qualcosa di simile, magari mettendomi personalmente sotto gli occhi questa preghieraccia, il benedetto Mastrangelo?! Forse perché sta fingendo di non essere arrivato a capirlo? Perché è sicuro che ci sto arrivando io? O perché... ma è evidente! Perché dovevo arrivarci da solo: arrivandoci da solo avrei concluso che la vittima era lui, se me ne avesse parlato avrei sospettato che mentisse!
Ma non mi conosce a sufficienza, il guitto. Eh no. In conclusione, d’ora in avanti questo sarà il mio comportamento: bocca cucita e attesa degli sviluppi. Io non ho ricevuto nessuna preghiera satanica e sto perdendomi fra i rivoli dei mille altri individui sospettabili: il sarto, la moglie, i suoi colleghi invidiosi, la ’ndrangheta, eccetera. Insomma prendo tempo. Presto o tardi, se una delle due ipotesi è quella giusta, o Mastrangelo o Bossi uscirà allo scoperto ed io, zitto zitto, potrò coinvolgere i carabinieri di Venezia semplicemente mandando loro in forma anonima, per posta, questa preghiera dei miei cabasisi... meglio se insieme a qualche riga battuta al computer dove faccio nomi, cognomi e numeri telefonici.


Attorno alle undici della mattina successiva a quanto appena visto e sentito, la suoneria del telefono grigiotopo anni Settanta di casa Santonastasio per l’insistenza scatenerebbe un’emicrania doppia e acuta pure a un giovanotto di quelli discotecari che straballa la techno ogni notte.
            «Lo so che eravamo rimasti per sentirci stasera alle ventuno, capitàno», dice l’attore, «ma c’è un cambio di programma».
            «Prego», replica asciutto Euterpe sveglio da poco.
            «Stasera alle nove devo essere a una serata di beneficenza al Teatro La Fenice di Venezia... una rottura tremenda di cui m’ero del tutto dimenticato: orchestra da camera e brani lirici, con ripresa televisiva. Sono stato annunciato e se mancassi convaliderei le voci che già mi dànno per malato di nervi».
            «Allora, come restiamo?»
            «La aggiornerò domattina dal set... lei ha niente da raccontarmi?»
            «Piano piano sto componendo una rosa di sospetti... che sto facendo pedinare o intercettare... ma ancora niente di sicuro. Lei, Mastrangelo, altri messaggi anonimi?»
            «Nella posta di stamattina no. Vado a lavorare quasi tranquillo, mi pare. Arrivederci».
            «Un attimo, non riattacchi: la lista del personale del film... si ricorda... me la faccia mandare entro oggi, mi raccomando».
            «Ah... d’accordo... appena l’ho preparata telefono allo spedizioniere, cosí le arriverà nel pomeriggio, ci conti».
            Mh – pensa Euterpe – neanche se ne ricordava... figurati che importanza può darle. Poi oggi mi sembra sfuggente. Secondo me sottopelle gli premeva la curiosità di sapere se avessi già ricevuto la sua preghiera.


In seconda fila, la poltroncina di velluto rosso numero ventotto attendeva solo lui: l’unica ancora vuota, stretta fra politici annoiati, registi sbuffanti e soubrette dallo sguardo opaco, tutti invariabilmente scontenti della mezz’ora di ritardo con cui il programma sta per avviarsi. Comunque ormai ci siamo: le luci, con la consueta triplice intermittenza, hanno appena dato la mezzasala e il brusio del folto pubblico sta, mano a mano, placandosi. Il teatro, zeppo di spettatori, tecnici e materiali da ripresa, che ne occupano ogni centimetro quadrato, a questo punto non potrebbe ospitare altri che Mastrangelo. Mentre si aprono le due grandi quinte verdi l’uomo accede alla platea: ha dovuto lasciare gli scimpanzè nella hall e la maschera che lo affianca gli sta indicando il posto riservato. Notandone l’entrata nel corridoio centrale, un paio di spettatori accennano un timido applauso, subito represso a gesti dall’attore che guadagna in fretta lo stretto spazio tra le serie di seggi e, scusandosi con i colleghi costretti ad alzarsi, lo percorre fino circa alla metà. Stringe al volo la mano di chi gli sta di lato ed ecco: si è seduto. L’urletto di Toni non viene percepito da nessuno, perché coincide con il sorridente buonasera della presentatrice che, tramite gli altoparlanti, dà il via alla serata musicale – inoltre tutti gli sguardi sono puntati sulla ribalta. Massaggiandosi l’indolenzita natica destra l’attore prende a ispezionare il sedile: prima la superficie superiore poi quella di sotto. In un secondo diventa cadaverico, infilatosi di soppiatto qualcosa in una tasca della giacca scura si leva con decisione, quasi calpestando tutti giunge sotto i palchi, dove imbocca un’uscita laterale e prosegue fino alla caffetteria dell’atrio. Al bancone le sue due guardie del corpo stanno consumando qualcosa d’analcolico e non possono nascondere lo stupore di rivedeselo davanti dopo appena cinque minuti. Toni ne prende una sotto braccio e allontanatosi di qualche metro «Presto, portami al pronto soccorso!» ordina esagitato.


            Attorno alla mezzanotte Mastrangelo è solo in casa: «Capitàno... stavolta...» gli trema la voce e tiene in mano una specie di secchio di gin puro «...quella psicopatica ce l’ha fatta a colpirmi. Una siringa fissata, a punta all’in su, sopra uno sgabelletto nascosto sotto il sedile. Invisibile e micidiale. Con il mio peso ho azionato lo stantuffo. L’hanno subito analizzata in laboratorio e per fortuna conteneva un’innocua mistura di acqua distillata e vitamina B. Mi hanno dimesso. Ma la cosa è trapelata alla stampa... son dovuto scappare agli intervistatori. Ormai è chiaro: la bastarda vuole solo sputtanarmi. Le basta distruggermi la carriera. Quel che rimane di Toni Mastrangelo lo demoliranno la povertà e l’angoscia».
            «Oppure gioca come il gatto col topo: l’ultima unghiata arriva alla fine del divertimento, mai prima. Forse il gatto smetterà di divertirsi il giorno che sappiamo».
            «La gatta. Dio la fulmini. Mai come quest’anno ho avuto voglia di raggiungere il mio compleanno».
            «Dio dice... mh... senta Mastrangelo: non può riuscire a chiudersi in casa per i dodici giorni che restano?»
            «Impossibile. La produzione ha una fretta indiavolata».
            «Indiavolata mo...!»
            «Santonastasio, che si mette a fare l’eco?»
            «Repetita iuvant sed variatio delectat. La smetta con la storia di sua moglie, su».
            «Ha altri candidati? Devo ricordarle che l’ho assunta per svelare questo mistero prima che mi ammazzino, PRIMA sottolineo».
            «Ma chi la ammazza a lei, Toni... figuriamoci!»
            «Non mi piace questo tono: vuole per caso rinunciare all’incarico?»
            «Tanto, per quel che servo... diciamo che se non traggo un ragno dal classico buco entro tre giorni, il quarto lascio l’incarico. Concorda?»
            «Per niente... guardi... mi sto irritando».
            «Diventa pericoloso quando si irrita, lei?»
«Meglio non mettermi alla prova. Sicuramente non faccio il samaritano con uno che pago per salvarmi e invece mi sfrutta e... e magari mi nasconde anche qualcosa. Allora... che le gira in testa, capitàno?»
«Niente di particolare, per adesso». Santonastasio sta per salutare, ma si dà una pacca sulla fronte e prosegue: «...se invece risponderà alla domanda che sto per porle, credo che qualche ingranaggio, forse solo una miserrima rotellina, comincerà finalmente a muovermisi nel cervello... etto... il cervelletto».
            «Dica».
«Quanto la sento freddo stasera, Toni. Allora. Chi conosceva il suo appuntamento alla Fenice e il numero preciso del posto?»
            «Mah... non saprei esattamente... la poltrona me l’ha assegnata di certo qualcuno della produzione Rai che ha affittato il teatro, ma anche il personale di sala ne era certamente a conoscenza. Poi Rosaria, la mia segretaria, come al solito».
            «Nessun altro, ne è proprio sicuro... non ha saltato qualche passaggio?»
            «Ah già...»
            E gli fa un nome.
            «Immagino che sapesse anche qual era la sua esatta posizione sulla scena del film».
            «È verosimile, capitàno. Ma secondo me i suoi sospetti sono assurdi».

            «Assurdità per assurdità... si inventi qualcosa... insomma faccia in modo che venga a casa mia domattina... diciamo a mezzogiorno. Voglio pranzarci insieme».

©Sergio Sozi. Riproduzione vietata.