mercoledì 14 settembre 2011

"Quel giorno...", di Maristella Angeli, per "Racconti da premio"

Racconti da premio propone oggi questo lavoro dell'autrice Maristella Angeli, risultato finalista al Quinto premio internazionale di narrativa ABICIZETA 2010, Edizioni Stravagario. Il lavoro fa parte di un'interessante raccolta di quatto racconti creati per una messinscena collegata dal fatto che le protagoniste, quattro anziane signore ricordano fatti della loro vita, effettivamente accaduti, che hanno del misterioso.
La protagonista di "Quel giorno...", una signora di 60 anni, ricorda una strana avventura: l’incontro con un angelo.
Un racconto fantastico che offre l'occasione per una riflessione su ciò che l’uomo non comprende, su tutto ciò che è “mistero”.


Quel giorno…

di Maristella Angeli


Un tappeto di soffice lana. Stavo sognando? No. Guardai meglio, ma gli occhi faticavano ad aprirsi in quel gelido mattino. Uno strato di neve ricopriva le strade e fiocchi leggeri e candidi continuavano a scendere velocemente, ondeggiando, fino a formare dei piccoli vortici che risalivano in alto.

Guardai la sveglia. Ore 6,00. Dovevo armarmi di una buona dose di coraggio e prepararmi in fretta  per arrivare a scuola. 50 km tutti pieni di neve e, probabilmente, di ghiaccio! Rabbrividii all’idea. Dopo essermi riscaldata con un cappuccino e un po’ di crackers, mi imbacuccai ben bene con sciarpa, cappello e guanti irlandesi. Presi anche tutto il necessario per togliere la neve che sicuramente seppelliva la mia auto e sbrinare il parabrezza.

Uscii quasi correndo, incespicando e scivolando più di una volta, come da cliché, e raggiunsi la mia auto. Era una gloriosa FIAT 127, vecchiotta ma gagliarda. Mi accinsi quindi a procedere. Ripulii alla meglio vetro e specchietti, non senza difficoltà, e alla fine rimirai soddisfatta il mio lavoro.

Il  traffico andava aumentando e cercai di sbrigarmi. Avevo un’altra prova da affrontare.

A quei tempi abitavo vicino alla stazione ferroviaria e, uscita di casa, mi aspettava una salitella assai ripida da fare con la macchina e quella mattina era ghiacciata da far paura. Ma avevo gli pneumatici da neve ed ero ben attrezzata. D’altra parte dovevo spesso raggiungere sedi di montagna per insegnare. La famosa gavetta! Eh sì, ma un po’ troppo lunga. Ben sedici anni di spezzoni orari in più scuole. Insegnavo Educazione Fisica; già, quella che ora hanno deciso di chiamare  Scienze Motorie e che i ragazzi continuano a chiamare Ginnastica.

Ero presa dai miei pensieri perciò e, riscaldando il motore a bordo della mia autovettura, fui sorpresa  da un insolito rumore. Qualcuno bussava al finestrino. Veniva giù talmente tanta neve che quel che vidi mi sembrò un’apparizione. C’era un uomo, elegante, vestito di un completo sportivo blu, che tentava di dirmi qualcosa. Abbassai il finestrino.

“Mi scusi, ma dove sta andando?”

“Come dove sto andando? Al lavoro!” , risposi un po’ seccata.

Lo guardai meglio. Doveva avere ventisette anni, più o meno, occhi azzurri, capelli biondo scuro e un sorriso molto dolce.

“Ma guarda tu che pezzo di ragazzo, che bonazzo ti vado ad incontrare in una giornata come questa!”, pensai tra me e me.

“Senta!” , continuò il tale.

“Torni a casa! E’ troppo pericoloso! Torni a casa, mi dia retta!”

La sua voce mi arrivava come un eco di montagna. Sembrava dipinta d’oro e dal dolce sapore di vaniglia. Rimasi imbambolata da quel suono che evocava in qualche modo qualcosa di ancestrale e che mi trasportava in una diversa dimensione.

Quei brevi momenti sembrarono lunghi un’eternità e, in quel tempo sospeso, vidi chiaramente ciò che sarebbe accaduto dopo. Una visione apocalittica: un gravissimo incidente stradale che coinvolgeva un pullman e due auto. Sangue ovunque, grida e sirene. Tante sirene. Guardai nell’interno delle vetture danneggiate e cercai di soccorrere quei poveracci. Ad un tratto però mi voltai e… vidi me stessa a bordo della mia 127!

“Scontro frontale. Niente da fare per la conducente”, stavano dicendo dei soccorritori, “hanno cercato di salvarla in ogni modo ma e’ morta. Morta sul colpo.”

Un brivido mi corse lungo la schiena. Tornai alla realtà. Ero lì, nella mia auto con gli occhi sbarrati persi nel vuoto.

Afferrai allora il volante tenendolo ben stretto e, chiusi gli occhi, cercai di convincermi che era  solo una visione. Sì, forse era un’allucinazione.

Mi girai ancora e… rividi quell’uomo, quello che aveva bussato al finestrino. Feci per rispondergli finalmente ma questi si voltò, allontanandosi in fretta.

Lo chiamai.

“Ehi! Ma dove va? Ehi signore! Come si chiama? Non mi ha neanche detto il suo nome.”

Sentivo che era importante saperlo.

Si girò sorridendo.

“Mikael, mi chiamo Mikael, ma tu potrai chiamarmi Mik!”

Si sollevò il bavero del cappotto e, poco dopo, scomparve. Divenne essenza bianca, un tutt’uno con quella soffice neve.

Non riuscivo a capacitarmi. Pensai ad una visione, una premonizione. Mi riscossi e scesi dalla macchina. Il tempo stava peggiorando e i fiocchi si erano fatti più grossi.

Mi cadde un guanto, feci per raccoglierlo e, guardando a terra, mi accorsi di non vedere impronte. Sì, proprio così: non c’erano impronte di piedi. Mi guardai intorno. Nessuna impronta di nessun tipo! Solo un manto di neve bianca immacolato.

Frastornata, e ormai senza più nessuna intenzione di raggiungere la scuola, tornai al mio appartamento, o meglio, a quello della mia famiglia. A quei tempi infatti abitavo ancora con mamma e papà, nonostante i miei ventitré anni, e ci sarei rimasta ancora per molto tempo. I soldi non erano sufficienti per potermi permettere un appartamentino tutto per me.

Telefonai alla segreteria per avvertire che era davvero impossibile raggiungere la scuola. Seppi così che il sindaco aveva emanato l’ordinanza di chiusura della sede e mi tranquillizzai.

I miei genitori, in apprensione, si calmarono vedendomi rientrare.

“Non è certo il caso di rischiare la vita”, disse mia madre quasi all’unisono con mio padre.

Infreddolita e con i piedi zuppi, mi cambiai, cercando un po’ di calore.

In quella casa faceva sempre freddo ed era umido. Non c’erano i termosifoni ed ognuno cercava di scaldarsi come poteva, con borse dell’acqua calda magari e babbucce ai piedi.

Mi avvicinai alla stufa che non era certo un granché. Era una di quelle a gasolio, che riusciva a scaldare solo la zona del corridoi. “Davanti ti scalda e di dietro ti strina” diceva sempre la mamma.

Fuori dalla finestra c’era il polo. La neve doveva aver raggiunto almeno i cinquanta centimetri! Stava facendo una di quelle nevicate davvero storiche! Per fortuna avevo deciso di tornare a casa. Per fortuna mi aveva fermato Mik!

Più tardi, a pranzo, mangiando un piatto di pasta e fagioli, energetica e calda, ma economica, rimasi col cucchiaio sospeso a mezz’aria ascoltando il notiziario.

“Gravissimo incidente in città. Due i veicoli coinvolti. Un’autovettura di grossa cilindrata e un pullman gran turismo. La macchina si è ribaltata e per la conducente non c’è stato niente da fare. E’ morta per le gravi ferite riportate. Nessun danno per l’autista del pullman.”

Rimasi basita. La strada era proprio quella che avrei dovuto percorrere io quella mattina, e anche l’ora era quella, sì, l’ora in cui solitamente transitavo in quel punto.

Quella sera mi addormentai presto e, nel sogno, rividi Mik.

Mi accarezzava che ero molto piccola. Mi teneva per mano, mentre ero a letto malata, e infine lo vidi starmi vicino, piangeva con me, perché mi sentivo sola. Mikael sorrideva. Un sorriso che mi riempiva di serenità.

Fin da piccola ho sempre pregato il mio angelo custode, perché pensavo che Gesù avesse troppo da fare per dedicarsi esclusivamente a me. Ma l’angelo no, mi dicevo, lui può aiutarmi. Così lo chiamavo ogni sera e gli chiedevo di farmi guarire, perché a quei tempi ero spesso malata. Lo pregavo di aiutarmi perché desideravo giocare come gli altri bambini e non volevo più soffrire di quei terribili attacchi d’asma che mi impedivano di farlo. Lo scongiuravo di farmi avere dei denti nuovi perché i miei sporgevano spaventosamente in fuori e me ne vergognavo tanto. E alla fine spesso gli chiedevo di farmi avere un cavallo tutto bianco, che mi portasse al galoppo via da lì, magari su di una spiaggia col sole d’estate e con la brezza del mare nei capelli. Era un po’ come il genio della lampada per me, ed era buono, tanto buono.

Così, la mattina dopo, mi ritrovai a pregare, chiedendo che ogni persona potesse avere un angelo custode tutto per sé e, facendolo, raccomandai all’angelo il buon Mikael, che mi aveva salvato la vita.

Sono trascorsi molti anni da allora ma quel ricordo, ormai lontano, mi torna spesso alla mente. Solo molto tempo dopo, con l’uso del computer di cui all’epoca non disponevo, sono riuscita a capire.

“Mikael: angelo che appartiene al coro delle virtù solari” diceva il testo su internet “Viene attribuito ai nati dal 19 al 23 ottobre.” Proprio il periodo in cui sono nata! Un angelo!

Avevo seguito molte trasmissioni sul mistero delle apparizioni degli angeli. Molte di queste erano  confermate da testimoni. Persone che avevano rischiato di morire. Perfino nelle torri gemelle, le Twin Towers di New York, ce n’erano state! Ebbene, alcune di queste giuravano di essersi salvate grazie all’intervento di un angelo!

Mi sono ormai convinta che tutti i soccorritori sono angeli, ma l’intervento divino è qualcosa che sfugge alla oggettività dei fatti e non può essere spiegata, né capita; di conseguenza neanche creduta.

È nella dimensione dell’anima, è lì che dobbiamo cercare. È lì che troveremo il nostro Mik!













































2 commenti:

  1. Ringrazio Astrid, per l'inserimento del mio racconto.
    Fatemi sapere se vi piace!
    Saluti

    Maristella

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  2. A tutti voi, Felice Anno Nuovo!

    Aforisma

    "Scoprire e scoprirsi all’interno di parole, nell’intimità di un autore, nello specchiarsi in parole incise nell’anima. La grande magia ora è impressa, invade l’anima che sussurra."

    Maristella Angeli
    (Selezionata Agenda 2012 “L’Erudita” G. Perrone Editore)

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