Apriamo il 2015 con il primo capitolo di una trilogia avvincente, ricchissima di colpi di scena, che coniuga perfettamente la fantasia con la realtà, portando il lettore attraverso i misteri del passato, le scoperte tecnologiche più innovative, i siti archeologici dimenticati, i meandri di una lobby che cospira per assoggettare i destini della terra al proprio volere.
Pierluigi Tombetti
The rune trilogy
I giorni perduti
©Arkadia Editore
ISBN 978-88-68510-329
Pag. 334
Il “Nuovo ordine mondiale” è pronto a conquistare il dominio sull’umanità
Ottobre 1582, papa
Gregorio XIII decide di riformare il calendario in uso dai tempi di Giulio
Cesare che, con il trascorrere dei secoli, ha accumulato un ritardo di undici
giorni. Questi vanno assolutamente eliminati. Ma a essere rimossi non saranno
dei giorni qualunque, quanto quelli in cui si sono concentrati fatti così
importanti e gravi che potrebbero scuotere dalle fondamenta ogni cosa. Nessuno
parlerà più di quei giorni e su loro calerà l’oblio. New York, oggi. La Wright
Foundation incarica il dottor William J. Connor di risolvere due enigmi storici
collegati al regime hitleriano. Connor, massimo esperto della storia del
nazionalsocialismo è una persona dedita al lavoro, tranquilla, ottimista e
positiva. Insomma, l’esatto contrario del supereroe. Al suo fianco troviamo la
ricca e affascinante Alicia Wright, figlia del proprietario della Wright
Foundation. Insieme, mentre sono impegnati nella ricerca del baule perduto del
capo delle SS Himmler, dovranno anche svelare i retroscena sull’esperimento
nazista ribattezzato Die Glocke, che li porterà nelle viscere del castello di
Wewelsburg, in Argentina, a Extersteine e in altri luoghi. Scopriranno a loro
spese che l’obiettivo di coloro che li hanno incaricati della ricerca non è la
verità, ma impossessarsi di conoscenze e scoperte scientifiche che
rivoluzioneranno il mondo, sottomettendolo a un oscuro gruppo di personaggi che
progetta un Nuovo Ordine Mondiale e si cela sotto la sigla The rune. Inizia per
Connor e la Wright un’avventura epica che li accosterà alle più grandi e
insolute questioni della storia umana. Tutto questo mentre il loro operare sarà
sempre sotto la lente d’ingrandimento di un personaggio che si muove nell’ombra
e tira i fili: l’Osservatore.
PROLOGO
Luogo del concilium secretum. Villa Mondragone, Roma. 2 ottobre 1582
Nubi
nere e minacciose si erano addensate sulla Città Eterna e forti lampi
serpeggiavano nel cielo plumbeo annunciando un temporale di insolita potenza.
Le prime gocce sferzarono rabbiosamente le vie polverose diffondendo un forte
profumo di terriccio bagnato, mentre i romani cominciavano a cercare riparo
sotto i tetti o presso le innumerevoli rovine, vestigia di un passato che non
sarebbe più tornato, che costellavano ogni angolo dell’Urbe.
Sordi
tuoni iniziarono a scuotere le sicurezze delle autorità cittadine che si
chiedevano se Dio stesse mandando loro un segno di qualche genere. Poi,
l’immensa energia generata dalle masse umide in sfregamento continuo nei cieli
si scatenò con fragori e vampe accecanti di impressionante potenza. In poche
ore la quantità di pioggia fu tale che il Tevere si gonfiò pericolosamente e
non si poterono contare i caseggiati allagati. Il Colosseo, le cui pietre
venivano regolarmente saccheggiate per altre costruzioni, osservava impotente e
passivo al disastro, come ogni grande monumento la cui gloria era finita
insieme ai fasti della città dei Cesari. Ora era una semplice cava, dopo essere
stata la residenza fortificata di una delle più grandi famiglie romane, i
Pierleoni.
Il
volto di Roma era completamente mutato nei secoli a causa delle ferite che il
tempo aveva inferto alla metropoli capitolina. Quante cose erano accadute in
quelle strade, quante battaglie, quanti trionfi, quanti annunci di sconfitte?
Quanti schiavi, imperatori, senatori, gente comune, avevano calpestato i
basolati, frequentato i fori, le botteghe, le insule che si innalzavano al
cielo come immensi alveari pronti a crollare da un momento all’altro? E quanta
sofferenza, energia, sangue si erano profusi nella lunga storia della città?
Quella Roma non esisteva più. La Roma imperiale, dei grandi generali, delle
legioni vittoriose. Era arrivato il tempo dei secoli bui. E la forza di Roma
era divenuta preda delle sue stesse pulsioni, le mollezze del lusso dell’impero
avevano provocato una profonda crisi culturale, sociale, etica, indebolendo
alle radici l’essenza stessa della città, la sua disciplina, il suo spirito di
corpo. Era accaduto poi che ondate di barbari avessero avuto la meglio su una
potenza che avrebbe potuto distruggerli facilmente con le sue macchine da
guerra, le sue tecniche belliche raffinate ed efficienti, il suo esercito
addestrato e preparato da ufficiali e strateghi di valore. Ma la città periva
sotto la sua stessa decadenza, tra intrighi di corte, corruzione a ogni livello
e violenza.
La
Roma di Augusto, di Traiano, di Adriano aveva ceduto il posto alla Roma delle
Mura Aureliane, alla Roma assediata dai barbari, rinchiusa in se stessa,
sfiduciata. Il potere dei Cesari era caduto e al suo posto era arrivata la
Chiesa. I figli e i nipoti dei pescatori della Galilea avevano potuto emergere,
si erano diffusi come un’erba rampicante sul tronco dello stato esangue, della
res publica, occupando ogni spazio, ogni pertugio e cambiandola per sempre.
Abdicando alla originaria missione spirituale abbracciarono una visione
temporale del mondo. I senatori, le grandi famiglie le cui ricchezze
inestimabili si riversavano nelle costruzioni di edifici religiosi dedicati al
nuovo e unico Dio, divennero cristiane. Il mondo romano divenne cristiano. Le
sofferenze e la crudeltà dei tempi inducevano a vedere nella Chiesa l’unica
ancora di salvezza. E nessuno poteva resistere a quel miraggio.
Ma
quelli erano anche tempi in cui era necessaria una energia insolita, tempi in
cui il vicario di Dio doveva agire con forza per la gloria del Regno. Erano
tempi in cui i santi abbandonavano l’idea dell’edificazione spirituale per
dedicarsi a un’opera molto più terrena, corruttrice, diabolica: il potere
assoluto.
E quella
sera le tenebre scesero presto a causa della spessa coltre nuvolosa ma, a Villa
Mondragone, a poca distanza da Roma, i presenti nella stanza non vi facevano
caso, come non si curavano della pioggia copiosa e delle saette che
martoriavano la campagna circostante, illuminando per brevi attimi l’intero
territorio di una luce spettrale.
I
convenuti si trovavano in una delle residenze fuori città di Gregorio XIII,
duecento ventiseiesimo papa della Chiesa, successore di Pio V. Alle guardie era
stato ordinato di tenersi a distanza e di non interrompere in alcun modo il
pontefice.
All’interno
sette uomini, cardinali tra i più fedeli, accomodati su altrettante sedie con
gli schienali intarsiati e foderate di preziosi tessuti damascati. Gregorio
XIII occupava un trono di legno dorato e aveva fatto mettere ai lati due seggi
per quelli che tutti definivano i suoi “uomini migliori”.
Grandi
candelabri e bracieri illuminavano la scena, mentre le ampie vetrate
sussultavano a causa del vento e refoli d’aria fredda si insinuavano micidiali,
pronti a colpire chi fosse di salute cagionevole. Ma anche questo non sembrava
disturbare in alcun modo il concilium
secretum.
Il
vicario di Pietro era piuttosto anziano. I suoi ottant’anni si facevano
sentire, nonostante fosse un uomo vigoroso e granitico. Dotato di una grande
cultura, impegnato nella difesa dell’ortodossia, apertamente in guerra contro
ogni morbo eretico, era salito al soglio una decina d’anni prima e, giorno per
giorno, si era potuto rendere conto dell’enorme responsabilità che gravava
sulle sue spalle.
Il
manto di porpora e il collare di ermellino bianco, insieme al fuoco del camino,
non riuscivano a produrre il risultato che cercava. Era da tempo che non
riusciva a scaldarsi, oramai, ma quella sera gli risultava ancora più
difficile.
I
visi di tutti i convenuti erano segnati dalla serietà, dalla preoccupazione.
L’atmosfera che avvolgeva ognuno di loro sembrava prossima a soffocarli.
D’altra parte, gli eventi degli ultimi tempi, soprattutto a partire dall’anno
precedente, erano stati così importanti, così pericolosi, da mettere in dubbio
l’esistenza stessa non solo della Chiesa, ma dell’umanità intera.
Quegli
uomini erano lì per trovare una soluzione, per eliminare un problema, forse il
problema più grave che mai si fosse presentato a un principe.
Era
chiaro a tutti che quello non era un concilium
come gli altri. Né aveva l’aspetto di una riunione di alti prelati impegnati in
questioni di ordinaria amministrazione. Le loro voci sommesse si mischiavano,
si sovrapponevano, ma non si alzavano mai di tono, quasi che il parlare a voce
bassa potesse esorcizzare il pericolo. Si erano incontrati varie volte nei
giorni precedenti, avevano udito i pareri degli uomini ritenuti più saggi e
istruiti che le terre del papato offrivano. Si erano consultati con gli
intellettuali, gli studiosi, i professori universitari. Avevano richiesto
consiglio ai grandi del tempo, meditato sulle loro risposte, soppesato i pro e
i contro. Alla fine la conclusione che avevano raggiunto aleggiava immateriale
tra le pareti della sala. Una conclusione che pareva la più ragionevole per
tutti.
Il
cardinale Guglielmo Sirleto, vescovo di Squillace, cardinale e amico di vecchia
data del pontefice, sosteneva la decisione presa a spada tratta.
«Santità»,
disse rompendo il debole vociare dei colleghi, «ci si presenta un’occasione
unica: quella di eliminare dalla storia gli eventi di cui sappiamo… di
cancellarli dalla memoria dell’uomo. Nessuno potrà mai risalire a noi perché
nessuno potrà mai capire cosa sia realmente successo.»
Gli
altri annuirono, mentre Gregorio XIII si limitò a osservarlo con attenzione.
Poi, incrociando le dita delle mani, chiese: «Continui…»
«Approfitteremo
dell’annuncio che Sua Santità darà al mondo relativo alla riforma del
calendario. Approfitteremo del fatto che dal 4 ottobre passeremo direttamente
al 15, che in quest’anno Domini 1582, per via della riforma, cadranno dieci
giorni del vecchio calendario. In ogni monastero, chiesa, archivio pubblico o
privato, tutte le registrazioni datate tra il 5 e il 14 ottobre saranno
distrutte, cancellate, emendate. Le transazioni, gli atti di acquisto, quello
che sarà necessario salvare per motivi di ordine economico o altro, basterà
retrodatarlo a prima del 5 ottobre… o postdatarlo. Lasceremo che ognuno si
regoli come meglio crede. Questo non è l’aspetto più importante. Basilare sarà
che ogni traccia di chronica historica,
degli eventi intercorsi tra il 5 e il 14 ottobre sarà eliminata e, ove questo
non fosse possibile per problemi pratici, modificata. Nulla di ciò che è
accaduto in questi dieci giorni sopravvivrà se non nel documento che terremo
nascosto nel nostro archivio.»
Fece
una breve pausa, come a prendere fiato. Quindi, scrutando i volti dei presenti,
cercò conferma a quanto aveva appena esposto.
«Al
punto in cui siamo ora, non sembrano esservi alternative. A dire il vero
abbiamo vagliato ogni altra possibilità. E questa sembra l’unica attuabile»,
disse uno dei cardinali.
Il
papa osservò Sirleto. Era uno dei suoi uomini migliori. Quello che più di tutti
pareva aver preso maggiormente sul serio la situazione. E quello che, fra
tutti, si era speso di più per trovare una soluzione.
«Siete
assolutamente certi che i computi siano stati verificati e siano dunque
corretti? Ciò che stiamo per fare avrà gravi ripercussioni nei secoli avvenire.
E non solo per le nostre terre cristiane. Gli echi delle nostre decisioni si
riverbereranno nella storia futura del mondo.»
«Santità»,
prese la parola un altro cardinale, colui che era stato preposto ai calcoli
matematici, in collaborazione con le menti più illuminate del tempo. «Santità,
ho personalmente seguito e supervisionato ogni aspetto del problema e posso
assicurarle che ogni cosa è ineccepibile, corretta. La commissione da voi
ordinata è presieduta dal matematico bavarese Cristoforo Clavio, professore
presso il Collegio Romano, un gesuita il cui sapere è noto in tutta Europa.»
Gregorio
XIII annuì grave. La reputazione di Clavio era inossidabile. Nessuno avrebbe
mai potuto fare meglio di lui. Su questo punto non c’era da temere.
«È
stato coadiuvato dal calabrese Luigi Lilio», proseguì il cardinale, «dal
matematico e astronomo siciliano Giuseppe Scala e dal matematico perugino
Ignazio Danti. Inoltre altri dotti ed eruditi hanno verificato con precisione
l’errore che il calendario di Cesare ha accumulato: già i padri del Concilio di
Nicea del 325 avevano fatto notare che, ai loro tempi, la Pasqua giungeva
quando il reale equinozio solare era oramai passato da dieci giorni.
L’occasione è straordinariamente propizia, dunque. In ogni caso, se non
modificheremo il calendario giuliano, la Santa Pasqua cadrà tra pochi anni in
piena estate. D’altronde possiamo utilizzare tale scusa per risolvere il nostro
“problema”, senza creare controversie, perplessità o sospetti.»
«Certo»,
si insinuò Sirleto. «Da ogni angolo della cristianità si chiede a gran voce
questa riforma. E noi gliela daremo. Prendendo, come si suol dire, due piccioni
con una fava.»
«Vi
vedo molto concordi», si espresse il pontefice. «E questo mi rende felice.
Significa che siamo sulla buona strada. Che lo Spirito divino ci ha ispirato al
fine di trovare la soluzione migliore.» Sirleto non sapeva se c’entrasse
davvero lo Spirito divino, piuttosto era sicuro che la scienza moderna aveva
dato un fortissimo contributo alla loro ricerca.
«Le
misurazioni dell’erudito e astronomo Niccolò Copernico, contenute nel libro
postumo De Revolutionibus orbium
coelestium libri sex», fece infatti rilevare, «hanno fornito una base di
calcolo eccezionalmente precisa. In pratica è risultato che il calendario di
Giulio Cesare non collima perfettamente con l’anno solare, perché è più corto
di 11 minuti e 14 secondi. Di conseguenza, il calendario giuliano accumula un
giorno di ritardo ogni circa 128 anni. Ecco perché siamo giunti al punto in cui
siamo ora.»
«Questa è un’occasione mandataci dal cielo»,
si espressero in molti.
Gregorio
XIII li osservò, uno per uno. In quei momenti, nonostante le parole appena
pronunciate, non era affatto convinto che fosse stato il cielo a volere tutto
ciò, perlomeno non con una notte come quella. Sembrava infatti che le forze
naturali si fossero scatenate sopra Roma e, in particolare, su Villa
Mondragone. Poteva essere un segno fausto o infausto, o magari solo una
coincidenza.
Fece
una lunga pausa.
Poi
comunicò la sua decisione: «Emanerò la bolla papale Inter Gravissimas, che ho già scritto in buona parte. Per stornare
qualunque dubbio ho deciso di pubblicarla datandola 24 febbraio di quest’anno
del Signore 1582, in modo che nessuno possa collegare», e dicendolo fece
un’ampia panoramica con lo sguardo, «la riforma alla cancellazione degli eventi
di cui tutti siete a conoscenza. Ciò che è stato fatto è un abominio. Una
violazione delle leggi che regolano la Creazione.»
Si
interruppe, come a trovare le parole adatte per proseguire.
«La
realtà è che il mondo è stato immerso nelle tenebre più oscure. È stato
squassato dalla violenza, dalla morte. Dal male. Ma voi e io saremo gli unici a
sapere realmente cosa sia accaduto.»
Un
coro di voci si alzò a commentare. Gregorio XIII, non avendo ancora terminato,
alzò la mano e tutti smisero di parlare.
«Così
è deciso, così sia fatto: sia nominata una apposita commissione che indaghi con
discrezione e registri ogni cosa. Non rimanga nulla di questa faccenda. Ciò che
deve essere fatto sia compiuto entro una settimana, per evitare che qualcuno
faccia domande o nell’eventualità si spargessero voci infondate. E che Dio ci
perdoni per tutto quello che stiamo compiendo. Segretario, prendete nota e
portatemi il documento che state stilando; lo firmerò e vi apporrò il mio
sigillo. Dopo, che cada l’oblio su tutto. Abbiate premura di nascondere il
resoconto nell’archivio, laddove nessuno potrà mai consultarlo, se non uno dei
miei successori.»
Uno
dei cardinali, che aveva continuato a prendere appunti, annuì: «Certamente,
Santità.»
Anche
gli altri annuirono e scurirono in volto: nessuno osò più parlare. A cominciare
dal papa tutti si alzarono e, in silenzio, tornarono ai loro alloggi,
profondamente preoccupati.
Il concilium si era concluso nel modo che
ci si aspettava. Quanto era stato detto e deciso sarebbe rimasto per sempre
segreto. Solo il pontefice avrebbe potuto autorizzare qualcuno o leggere di
persona quanto sarebbe stato depositato nei sancta
sanctorum dell’archivio segreto della Chiesa.
©Arkadia Editore 2014.
Riproduzione riservata.
Pierluigi Tombetti, nato nel 1966, esperto di storia delle religioni, articolista, redattore e
scrittore per riviste e case editrici di settore storico e archeologico, è
autore di articoli, reportage e saggi. Considerato tra i massimi studiosi del
nucleo religioso nazista, è stato consulente e ospite in varie trasmissioni
televisive italiane tra cui “Stargate” (La7), “Atlantide” (LA7), “Top Secret”
(Rete 4) e “Voyager” (Rai 2). Tra i testi pubblicati: Il Settimo Sepolcro
(Eremon, 2009); L’Ombra del Diluvio (Eremon, 2013), Introduzione al Mein Kampf,
in A. Hitler, La mia battaglia (Gherardo Casini Editore-Rusconilibri, 2010),
L’enigma occulto di Hitler (Arkadia Editore, 2013).
Per ogni informazione
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